Era un’onda che monta, travolge tutto e poi si ritira, portandosi via ogni cosa. Cosi si sentiva: derubata, come se le avessero tolto quello che aveva di più importante. Pauline, una delle altre tre venute all'appuntamento, ci stava anche provando a convincerla che non tutto il male viene per nuocere, che saltavano le teste che dovevano saltare: l’austriaca impestata, i girondini, i traditori del popolo, gli infami. Certo, Marie lo capiva che pure la De Gouges doveva dire addio alla sua testaccia di brissotina, però... Però. Le parole per dirlo le si attorcigliavano in testa. Olympe era una bagascia da salotto, ma aveva scritto la dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina. Marie l’aveva letta appena una settimana prima, a casa di Claire. Marie aveva detto che a conti fatti le cose che scriveva la De Gouges non le suonavano affatto storte.
«Hai sempre detto che non te ne fai niente dei diritti se non hai da mangiare...», aveva commentato Claire. Poi aveva mutato tono ed espressione, quasi cercasse di contenere la rabbia.
«Forse la De Gouges scriveva cose giuste, si. Ma come pensava di metterle davvero in pratica? Sperava forse che lo facesse il suo amico Brissot, salvando i benefici dei ricchi? Non puoi affermare un diritto mentre conservi un privilegio».
Si era zittita, consapevole di dove la portava il proprio ragionamento, in base al quale Robespierre e Danton non apparivano diversi dagli altri: la costituzione che avevano scritto era un gioiello, ma non avrebbero fatto le leggi per metterla in pratica. Almeno finché durava la guerra.
Lo sapevano entrambe anche adesso, mentre guardavano ciò che restava della società delle cittadine repubblicane rivoluzionarie. Non era una coincidenza che avessero chiuso con un decreto tutti i club femminili e tre giorni dopo avessero tagliato la testa alla De Gouges.
L’onda si stava ritirando.
L’immagine che veniva in mente a Marie era quella di una donna con il culo esposto alla frusta. Una frusta impugnata da un’altra donna.
– E adesso che si fa? – chiese la quarta, Darcelle, la giovane adepta della società che una sera era andata a cercare Marie per salvare Claire dalla prigione. – Mica possiamo andare in delegazione solo noi quattro. Perché non è venuta nessun’altra?
Non ottenne risposta. Ciascuna di loro scelse la propria in silenzio.
Claire inspirò a fondo. Sfoggiava i vestiti da amazzone e per Marie non era mai stata così bella.
– Io non resto zitta, – disse. – Vado a protestare là dentro. Se questa è la fine, che almeno sia a modo nostro.
Le altre tre fissarono il grande edificio che campeggiava oltre lo spiazzo. La Convenzione, la montagna più alta, il tempio della Repubblica.
– Ci copriranno di sputi, lo sai, – disse Pauline. – Non aspettano altro.
Claire le guardò tutte e quando Marie incrociò il suo sguardo le apparve davvero come un’amazzone antica, come quelle scolpite dagli scultori o che si vedevano stampate sui giornali. Marie pensò ancora che quella disperata determinazione la rendeva bellissima e terribile, da non toglierle gli occhi di dosso. Un lieve sorriso inclinò la bocca a cuore di Claire.
– Si, lo faranno, – disse. Poi aggiunse: – Le altre hanno già scelto. Voi non siete tenute a venire con me.
Marie fece un passo al suo fianco, con l’emozione che le inondava lo stomaco.
Il sorriso di Claire si fece appena più marcato. Entrambe rimasero in attesa delle altre.
Pauline si mosse con una scrollata di spalle.
– Al diavolo. Siamo venute fin qui...
Darcelle, gli occhi inondati di lacrime che si sforzava di non far sgorgare sulle guance, appariva ancora più giovane di quanto non fosse. Là dentro l’avrebbero sbranata, pensò Marie. Poi la vide muovere un passo incerto, ma nella direzione giusta.
Darcelle tirò su col naso.
– Andiamo, – disse.
Si incamminarono una di fianco all’altra, percorrendo la distanza che le separava dalle Tegolerie. Alcuni passanti si voltavano a guardarle incuriositi da quella passeggiata a quattro; altri le ignoravano. Un gruppetto di ragazzini prese a seguirle, ridacchiando alle loro spalle, ma dato che le donne non reagivano alla provocazione lasciò perdere in fretta.
Giunte davanti all’ingresso si fermarono a contemplarne l’imponenza, consapevoli che probabilmente era l’ultima volta che entravano là dentro.
– Sapete... – disse Claire in tono scanzonato, – la prima volta che ho esordito in una commedia è stata come sostituta della primattrice, che si era ammalata. Quando il pubblico ha visto me al posto suo, ha preso a insultarmi e a lanciare di tutto sul palco. Io sono andata avanti lo stesso fino alla fine del primo atto. Poi sono rientrata per il secondo atto, e non hanno più lanciato niente.
Pauline si concesse una risatina per alleviare la tensione. Accanto a lei, Darcelle apparve un poco rincuorata dall’aneddoto.
– Vuoi dire che può essere meno peggio di quello che pensiamo?
Marie le toccò una spalla.
– Vuole dire che bisogna tenere duro abbastanza per arrivare al secondo atto.
– Ammesso che ci sia un secondo atto, – concluse Pauline senza nascondere lo scetticismo.
Claire le passò di nuovo in rassegna.
– Pronte?
Annuirono.
Entrarono insieme nelle fauci della Convenzione.