Nogaret lo guardò con blando interesse.
– Voi siete quel che si dice una testa calda, Modonnet. Ancora, turbamento dell’ordine pubblico e in più un gesto che non posso che definire «aggressione». Avete deciso che la vostra testa, là dove poggia, vi è d’ingombro?
L’espressione di Léo era livida. Guai, fitti guai, una selva di cazzi, una brutta, bruttissima gatta da pelare.
– Non so davvero che cosa mi è preso, cittadino. Tra il pubblico c’era un provocatore...
Tacque, davanti alla solita mano alzata di Nogaret.
– Non sono io a dovervi insegnare il teatro, Modonnet.
Il pubblico ha tutto il diritto di dissentire, mentre una reazione come la vostra comporta un’ammenda di venti lire, oppure quattro giorni di prigione. Nell’un caso o nell’altro, una segnalazione scritta col vostro nome al comitato di istruzione generale.
Una frustata di sudore freddo colpì Léo.
– No, la segnalazione no, cittadino Nogaret.
Il funzionario trasse un profondo respiro.
– Si, la segnalazione si, Modonnet. Ho ricevuto ordini molto chiari in proposito, e la Musa mi perdonerà se con questo la priverò dei vostri servigi Fece cenno alle guardie che prelevassero l’arrestato. – Sempre che non mi ringrazi, – concluse.
Léo dovette accettare lo scherno, anche se quelle parole lo ferivano. Guardò in basso, mentre gli mettevano i ferri ai polsi.
– Recitare è la mia vita. Non ho mai fatto altro.
Nogaret lo fissò sornione.
– Potreste sempre arruolarvi. La Repubblica ha bisogno di buoni patrioti. In fondo siete francese ormai.
Léo non seppe cosa replicare e si lasciò portare via in silenzio. L’ultima immagine che ebbe di Nogaret fu quella della sua faccia mogia china su una nuova pratica.