Treignac osservò la folla circondare il palazzo e ripetè a sé stesso quel che da giorni andava ripetendo ai commissari di sezione: permettere al corteo di attraversare Parigi non era affatto una buona idea. Men che meno lasciarlo libero di arrivare fin sotto le finestre delle Tegolerie. Benché fosse di simpatie montagnarde, Treignac non aveva grande fiducia nella mitica disciplina sanculotta, quella temperanza fiera e composta incensata da papà Duchesne. Ancora meno fiducia, d’altronde, nutriva nei provocatori controrivoluzionari, sempre pronti a infilarsi dove c’era folla, per eccitare gli animi e rovinare la festa.
Purtroppo il suo parere contava ben poco, di fronte a quello dei caporioni del comune, tipi come Chaumette e il sindaco Pache, che avevano deciso di compiacere il popolo, lisciarsi gli arrabbiati, spaventare i girondini di Brissot, farsi belli coi montagnardi e ottenere il massimo, tutto in una sola giornata e con un solo corteo. Tanto non erano loro a dover mantenere l’ordine. Con tutto che di cortei non ce n’era uno soltanto, bensí due, e adesso magari si finiva per litigare su chi aveva il diritto di entrare per primo, se i cinquemila sanculotti di Sant’Antonio, in ragione del loro numero, o le duecento donne di Versailles, per via che s’erano fatte a piedi più di quattro leghe.
Appoggiato al tronco di un platano, discosto dal grosso della folla, Treignac ne teneva d’occhio il ribollire, pronto all’intervento in caso di bisogno, anche se gli uomini di cui disponeva erano ben poca cosa di fronte al muro di teste che ora cingeva la Sala del Maneggio.
Fu da quella posizione che si vide venire incontro il figlio di Marie Nozière.
– Allora, Bastien, che si dice là davanti?
Il ragazzino si asciugò il naso con la manica e riferí.
– S’è deciso che entrano prima quelle di Versailles, perché la loro petizione è più corta della nostra, e poi devono tornare a casa prima di buio.
– Giusto, – commentò laconico Treignac. – Perché tua madre continua ad agitarsi?
– E che quelli alla porta dicono che dentro c’è già troppa gente, le tribune sono piene, e allora dei nostri non ne fanno entrare più di quaranta.
– Non bastano?
Il ragazzino annuí.
– Si, ma si scazzano su chi deve entrare. Mia madre dice che le donne, a Sant’Antonio, sono più di metà degli abitanti, e che allora han da essere metà anche dei quaranta che entrano, cioè venti. E poi, siccome le prime a chiedere il prezzo massimo son state loro, già due mesi fa, allora chiedono che sia una donna a presentare la petizione alla barra.
Treignac scosse la testa.
– Tua madre è strana, – disse. – Ma che dobbiamo fare, adesso? Contare quanti biondi ci sono al foborgo e metterne abbastanza tra quelli che van dentro? E gli zoppi? Quanti zoppi abbiamo nel foborgo? Almeno tre zoppi su quaranta bisognerà metterceli, non trovi?
Il ragazzino si fece una risata.
– E tre scrofolosi e una battona, negoddio!
Treignac si fece serio.
– Frena la lingua, garzo, o te le suono a tamburo. Che altro?
– Parlerà Muzine.
– Muzine! Sacrodio... – mormorò Treignac tra sé, guardandosi la punta delle scarpe. – Va’, vai a dare un’altra occhiata. Quelli non la smettono più di discutere.
Il ragazzino fece per allontanarsi, fiero del suo compito, ma fatti due passi si fermò e girò la testa.
– Io però resto con te. Ti guardo le spalle, eh, Treignac?
Treignac raccolse un sassolino e glielo tirò dietro, imprecando che la piantasse di cianciare, se voleva guadagnarsi il soldo che avevano pattuito.