La mano era posata sul ventre della donna in corrispondenza dell’ombelico, ad appena mezzo palmo dal seno e dal pube. L’altra mano era sulla schiena, nell’avvallamento sopra le terga. D’Amblanc stava attento a tenere il corpo distante da quello della paziente, e nondimeno il suo profumo lo assediava. Cécile Girard era seduta su una sedia senza braccioli le spalle discoste dallo schienale, in modo che la mano del terapista potesse passare nello spazio intermedio. Testimone della magnetizzazione era l’anziana serva, come sempre intenta all’uncinetto vicino alla finestra. D’Amblanc tentava di non pensare alla sua presenza e di concentrarsi sul bene della paziente. La signora Girard aveva le palpebre abbassate, il respiro regolare, le labbra appena dischiuse lasciavano intravedere la dentatura perfetta.
– Sentite che vi faccio del bene? – chiese D’Amblanc.
– Sì. Continuate, vi prego.
– Sta a voi decidere quando interrompere il trattamento. Percepite il calore del fluido?
– Sì. Mi attraversa da parte a parte.
D’Amblanc mosse impercettibilmente le dita e avvertì il fremito sotto il tessuto del vestito. Si bloccò. La vecchia serva muoveva i ferri da maglia sempre più lenta: aveva la testa reclinata di lato, si stava appisolando.
D’Amblanc tornò a concentrarsi sulla paziente. Ne osservò il profilo, le orecchie piccole, la leggera peluria sulla nuca.
– Volete dirmi qual è la causa del vostro male? – chiese.
– Forse potrei dirvi cosa turba voi, dottore, – rispose la donna.
D’Amblanc accusò il colpo e arrossì.
– Non è di me che dobbiamo parlare, – si difese, – ma del vostro asma. Cosa lo provoca?
– Di certo uno scompenso nel fluido.
D’Amblanc soppesò la risposta.
– E a cosa pensate sia dovuto tale scompenso?
Silenzio.
D’Amblanc fu incerto se ripetere la domanda. Insistere n
on era un buon metodo. Lanciò ancora un’occhiata alla vecchia serva accanto alla finestra. Dormiva, cullata da qualche bel sogno, stando all’espressione beata del volto.
Il profumo era più intenso che mai.
Decise di ritentare.
– Potete dirmi qual è l’ostacolo al regolare scorrimento del fluido magnetico?
Questa volta la risposta arrivò immediata.
– La menzogna.
Fu il turno di D’Amblanc di rimanere zitto. In nessuna delle precedenti sedute la signora Girard aveva mai accennato ad altro che non fossero i propri disturbi: mancanza di appetito, tristezza, crisi di pianto.
– Riuscite a essere più precisa? – domandò.
– Vivo circondata dalla menzogna. Si può dire che l’ho sposata.
D’Amblanc non capi, ma sapeva che il sonnambulo deve essere assecondato, affinché l’autodiagnosi abbia esito.
– Come può un fattore tanto aleatorio interrompere il flusso magnetico dentro di voi e intaccare i vostri polmoni?
– La menzogna non è aleatoria, dottore, – rispose lei. – È una cosa concretissima, che scava dentro. Non dimenticate che sono la moglie di un avvocato.
D’Amblanc trattenne lo stupore. Poi, senza pensarci sopra, decise di azzardare.
– Credete si possa agire sulla causa dello scompenso?
Di nuovo silenzio. Il salotto di casa Girard sembrava avulso dal mondo. L’unico rumore era il leggero russare della serva.
La mano della signora Girard gli sfiorò la coscia. Dopo un attimo di esitazione, D’Amblanc aumentò leggermente la pressione sul ventre di lei, che rispose con un tocco audace ma delicato, in grado di sprigionare il desiderio di una presa più decisa. D’Amblanc si accorse che anche la sua mano si era mossa, fino a sfiorare la pelle del seno lasciata scoperta dalla scollatura. L’indice carezzò il piccolo incavo sotto la gola, mentre il respiro di entrambi si fece più pesante. La mano della donna sali lungo il fianco. D’Amblanc trasalì, come scottato, e il suo movimento brusco svegliò la vecchia.
La signora Girard aprì gli occhi e si volse verso di lui, che si aggiustò i polsini e si alzò per congedarsi.
Pochi minuti dopo era già in strada, tentando di contenere alla meglio la nube di pensieri.