Orphée d’Amblanc sbucò in via della Giostra, alle spalle della barricata. Dietro di essa s’infittivano capannelli di popolani, soprattutto donne, con bastoni, picche, mannaie, qualche sparuto fucile. Persino spiedi e forconi.
L’attenzione di tutti era puntata sul fondo della strada, dove gli edifici si allargavano per lasciare intravedere le Tegolerie. Nessuno fece caso a lui. Attraversò la strada urtando persone che non si fermavano a domandare le sue scuse né a pretenderle.
Giunto davanti all’ingresso di Palazzo Brionne dovette aggiustare la cravatta e riprendere fiato prima di mostrare la carta civica ai due agenti di guardia.
– Devo vedere l’ufficiale Chauvelin.
– Oggi non si entra, cittadino, – rispose uno dei due, svogliato.
D’Amblanc si aspettava un rifiuto e non si lasciò scoraggiare.
– Sono il suo medico, – disse calmo. – Abbiamo fissato una visita per oggi.
L’agente scambiò un’occhiata con il collega, come a voler condividere la responsabilità della scelta, ma l’altro si strinse nelle spalle.
Il piantone guardò D’Amblanc e fece un cenno del capo in direzione del fondo della strada.
– Torno a dire, cittadino: non è giornata.
– Vi garantisco che è proprio questo il giorno, invece, –obiettò D’Amblanc. – E se non mi fate entrare sarete responsabile dell’attacco di cefalea dell’ufficiale Chauvelin.
Uno sguardo spaventato accolse l’annuncio.
– Cefalea? Sarebbe mal di testa...
L’espressione inquieta del poliziotto suggerì che quando Chauvelin aveva i suoi attacchi non doveva essere uno spasso per i sottoposti.
– Glielo fate passare? – chiese l’agente.
– È quello che faccio, sì, – ammise D’Amblanc.
Non senza aver lanciato occhiate nell’una e nell’altra direzione per sincerarsi che non vi fossero testimoni, l’agente lo fece passare.
D’Amblanc venne scortato su per il grande scalone, lungo il quale notò le nicchie vuote che un tempo dovevano avere ospitato delle statue. Se erano state rimosse, pensò, doveva trattarsi di qualche illustre aristocratico o ecclesiastico. Viceversa, la mobilia del palazzo era ancora quella lasciata dal conte d’Armagnac, Charny e Brionne quando aveva deciso di emigrare verso terre più salubri per la sua salute di intimo del re. Una scelta che aveva reso più semplice la requisizione della sua magione parigina per farne la sede del comitato di sicurezza generale.
D’Amblanc entrò in una grande stanza, al centro della quale campeggiava una lunga scrivania con i piedi a zampa di leone. La sedia era vuota e per un attimo credette che non ci fosse nessuno. Poi notò l’uomo in piedi accanto alla finestra. Chauvelin si volse e lo squadrò curioso, ma attese di aver congedato l’agente di scorta, prima di parlare.
– Venite avanti, dottore. Come avete fatto a convincerli a lasciarvi entrare? Ci sono disposizioni precise.
La voce di Chauvelin lasciò dietro di sé un riverbero che si perse tra le cornici dorate, sul soffitto alto della sala, dove un tempo si sarebbe mescolato a quello del tintinnio di bicchieri e risatine di dame.
– Ho millantato un appuntamento per lenire la vostra emicrania, – rispose D’Amblanc. – Avevo urgenza di parlarvi.
L’ufficiale di polizia fece cenno di avvicinarsi e D’Amblanc lo raggiunse davanti alla vetrata.
– Niente può essere più urgente di questo, – disse guardando fuori.
D’Amblanc fece lo stesso: osservò lo scorcio delle Tegolerie tra i tetti delle case.
– Dunque ci siamo?
Chauvelin annuí senza enfasi.
– Non avete ricevuto la mia lettera?
– Si, certo. Solo non credevo...
– Che sarebbe stato così presto? – concluse Chauvelin.
– In questa temperie non siamo noi a decidere quando le cose accadono. I brissotini fomentano insurrezioni a Bordeaux, Marsiglia, Lione. Il popolo di Parigi è in armi, spaventato. La guardia nazionale presidia la Convenzione. Noi possiamo solo servire la patria. Dalla vostra presenza qui deduco che vi siete deciso a farlo.
D’Amblanc non rispose. Osservò il funzionario. Da quando, un anno prima, era diventato suo paziente, si era sempre chiesto se a portarlo da lui fosse stato davvero il bisogno di cure, o piuttosto l’interesse per la sua attività. L’uno e l’altro motivo insieme, forse.
– Perché non siete laggiù? – chiese.
– Ho ricevuto l’ordine di aspettare, – rispose Chauvelin.
– Aspettare cosa?
– Il momento opportuno. È già pronta una lista d’arresto di girondini.
D’Amblanc non trattenne la domanda. In fondo era li per quello.
– C’è anche il nome di Girard?
L’ufficiale di polizia lo guardò con espressione fredda.
– Siete sicuro di volerlo sapere, dottore? Perché dovrei dirvelo?
– Perché voglio chiedervi di risparmiare la moglie, – confessò D’Àmblanc.
Chauvelin sospirò e si girò di nuovo verso la finestra.
– Guardate laggiù, D’Amblanc. Tra quelle mura si stanno consumando i nostri destini. Lo stesso accade in tutta la Francia. I dipartimenti della Gironda insorgono, proprio come la Vandea. Intanto i nemici stranieri della patria non dormono, l’Inghilterra trama un’invasione, e voi, nell’ora del massimo pericolo, pretendete di salvare una singola persona? Credete che sia in mio potere farlo? Non saprei dire cosa ne sarà del mio potere dopo queste giornate. Il comitato di salute pubblica aspira al controllo sugli altri comitati, soprattutto su questo. Comunque vadano le cose, da domani ci saranno grandi cambiamenti qui dentro, potete starne certo.
– Ma voi siete... – cercò di obiettare D’Amblanc.
– Un giacobino? – concluse l’ufficiale. – Si, è vero. Proprio come voi.
– Stavo per dire «un giusto», – lo corresse D’Amblanc.
– Le responsabilità politiche del marito non possono ricadere sulla signora Girard. Voi lo sapete, come io so che andrò in Alvernia a indagare per conto del comitato.
Chauvelin scosse la testa. Era teso e provato, dopo gli ultimi due giorni nei quali senza dubbio aveva dormito pochissimo.
– Ascoltatemi: io non posso garantirvi niente, – sbottò Chauvelin. – Se volessi dare un consiglio alla signora Girard le direi di non seguire il marito, qualunque cosa accada. Di cessare ogni comunicazione con lui. Di considerarsi vedova a partire da oggi stesso. E che il cielo l’aiuti.
Si volse di scatto, nervoso, come insoddisfatto delle proprie parole. Andò alla scrivania camminando a piccoli passi svelti, le mani dietro la schiena.
D’Amblanc lo raggiunse e rimase in piedi davanti al tavolo.
– Non guardatemi così, – disse Chauvelin. – Non c’è nulla che io possa fare.
– Promettetemi almeno che tenterete, – insistette D’Amblanc. – In nome della nostra amicizia.
L’ultima parola parve cogliere Chauvelin impreparato, quasi fosse sconveniente, o troppo importante per essere spesa dentro le mura di quell’edificio, in un momento simile.
– Farò ciò che posso, – disse. – Ma voi dimenticate quella donna. Partite il prima possibile.
Prelevò da un cassetto dell’enorme scrivania un foglio intestato. Cominciò a scrivere, lo siglò con un timbro e lo porse a D’Amblanc.
– È il lasciapassare che vi riconosce come agente del comitato.
D’Amblanc infilò il documento nella giacca.
– Prendete anche questi, – aggiunse Chauvelin consegnandogli una mazzetta di assegnati. – Per le vostre spese dovrebbero bastare. Buona fortuna.
Dopo un momento di esitazione, con un gesto secco porse la mano attraverso la scrivania.
D’Amblanc la strinse.
– Andate, adesso, – ordinò Chauvelin.
D’Amblanc fece un lieve inchino in segno di rispetto e si mosse verso la porta, ma dopo appena un paio di passi si fermò e tornò a voltarsi.
– Non vi ho nemmeno chiesto come vanno le vostre cefalee. .. – disse con aria imbarazzata.
Da dietro la scrivania, Chauvelin gli elargì un sorriso amaro.
– Non mi lamento. Finché ho mal di testa significa che ce l’ho ancora sul collo. Arrivederci, D’Amblanc. Fate buon viaggio.
Uscito dal palazzo, D’Amblanc prese a correre nella direzione opposta alle Tegolerie, spingendosi contro il flusso di gente che si radunava verso il teatro degli eventi. Si sorprese a pensare che era precisamente quanto si accingeva a fare: andarsene altrove. Ma c’era un’ultima urgenza da soddisfare. Trasse di tasca l’avanzo di un foglietto su cui aveva annotato appunti di spesa, ne strappò un lembo e con una mina spuntata, appoggiato a un muro, tracciò poche righe incerte.
Gentile signora,
una volta mi diceste d’aver sposato la menzogna. In quest’ora estrema vi verrà chiesto di scegliere tra essa e la vostra salvezza. Mi auguro vogliate essere saggia e ricerchiate, insieme alla virtù, la buona fortuna.
Un amico
Si avvicinò alla casa passando dal cortile sul retro. Quando vide l’anziana serva seduta sulla porta della cucina ringraziò la propria buona stella. La donna era intenta a spennare un pollo, il collo dell’animale penzoloni sulla gonna e un secchio tra i piedi per raccogliere le piume. Appena lo ebbe davanti, trasalì, poi gli rifilò un’occhiata inquisitoria. Non si aspettava di vederlo spuntare così all’improvviso. Mollò la carcassa e fece per alzarsi, ma D’Amblanc fu più rapido a inginocchiarsi e, prima che lei potesse dire una parola, a stringerle le mani tra le sue. Le trattenne finché la serva non si rassegnò a prendere il biglietto.
– Per la vostra signora, – disse. – A lei soltanto, vi prego. Ne va della sua salute.
Attese di leggere negli occhi della donna un assenso, e solo quando ne intravide il barlume, lasciò la presa e la ringraziò di cuore.
Poi si allontanò in fretta, senza voltarsi, piume di pollo sui risvolti della giacca, sentendosi come un lestofante che avesse rubato qualcosa.