Insomma, dicono che l’abbiamo gagnata noialtri. Ma si sa che certe faccende le si capisce dopo, e adesso tanto vale festare e inciuccarsi alla salute di Marat e di Robespierre.
A volerla sputare dritta, bisogna dire che le sezioni, il 31 di maggio, avevano presentato alla Convenzione una filza di richieste lunga un cazzo di somaro, che è quasi fatica ricordarsele tutte. C’era la tassa sui ricchi per avere il pane a tre soldi, i nobilardi sloggiati dall’esercito, le fabbriche di fucili in tutte le piazze, i controlli alle poste e sugli assegnati, un’armata di sanculotti con una buona paga, gli indennizzi per le famiglie di chi difende la patria e l’arresto di ventidue brissotini. Ecco. Però arrivati al sodo, da tutta ’sta fumana saporosa e fitta, è uscito solo l’ultimo arrosto, guardacaso proprio quello che i caporioni della Montagna si volevano impaffare, per togliersi di torno i cacapalle della Gironda. Adesso, a sentir loro, si potranno fare tutte le altri leggi, quelle che piacciono a noialtri, e che non potevano passare per colpa di quelli là.
Soquanti pensano pure che ’sto fatto di ingabbiare gli amici di Brissot alla fine è un modo per fargli un favore, ché negli ultimi tempi i vari Gaudet, Girard, Mazire, quando che andavano alla Convenzione, c’era la gara a tirargli dietro nomi, scappellotti e scaracchi, e dài e dài finiva che alle loro teste ci pensavamo noialtri, anziché la patria. A ogni modo qualcheduno di quei furbacchi ha giocato di gambe, e chissà dov’è adesso, a tramare che cosa. Qualchedun altro l’hanno beccato con la valigia in mano e il pepe al culo. Girard l’hanno brancato le Streghe della Montagna mentre cercava di squagliarsela indonnito.
A conti fatti, anche se non si è proprio damato il pedone, non è stata una spadata nell’acqua. Tre giorni che li conti ai nipoti, e d’ora innanzi, quando qualcheduno parlerà in nome del popolo di Parigi, dirà che siamo quelli del 14 luglio, del 10 agosto e del 2 giugno, cioè il giorno che ottantamila cittadini hanno circondato la Convenzione per dire agli scaldamarmitte che non potevano mettere il naso fuori se prima non trovavano una legge, un decreto, una parola per salvare la rivoluzione dallo sbrago. A un certo momento i deputati hanno pure tentato di uscire, alla testa c’era quell’indormentatore di Hérault de Séchelles, per parlare col Buon Popolo, perché dentro non c’era modo di discutere, con tutto quello che gli rovesciavano addosso dalle tribune, soprattutto le donne, le Furie di Robespierre, che appena un brissotino prendeva la parola, quelle subito si mettevano a strillargli di tutto e di più. Insomma questi pensavano di parlare col Buon Popolo, di pagarci con moneta di scimmia, ma pare che là davanti si son trovati dei ceffi cattivi, dicono fosse canagliume sgabbiato che doveva andare in Vandea e invece in Vandea non ce l’hanno mandato. In cambio gli han chiesto di farsi vedere, carignosi e bellini com’erano, da quei deputati. E se non c’erano quei ceffi, dicono i brissotini, il Buon Popolo di Parigi ci avrebbe parlato volentieri coi suoi rappresentanti. Ma sbrisga, ché se davvero è andata così, se li hanno messi li apposta per ringhiare, allora tanto valeva che li mandassero in Vandea, dove c’è tanto bisogno, perché noialtri, al posto loro, a Hérault de Séchelles lo stivale lo servivamo gratis etamoredèi.
Oltre a ’sta ceffaglia, l’indormentatore si è trovato di fronte pure Culodritto Henriot, il nuovo capo della guardia, che appena l’ha visto metter fuori la musta ha urlato ai cannonieri di preparare i pezzi, e l’ha urlato forte, di modo che lo sentissero tutti quei deputati, che hanno fatto subito indietroculo, sono tornati dentro, e guarda caso han trovato la soluzione: arrestare i ventidue brissotini.
Se alla fine insomma la decisione l’hanno presa, e pure in fretta, ha ragione chi dice che prima avevano perso tempo a cianciare di robe inutili, come scoprire chi ha fatto sparare il cannone d’allarme. Chi stava dentro alle Tegolerie dice che non si può capire quanto l’hanno tirata lunga, con ’sta storia del cannone d’allarme. I destini della Francia dipendevano da quello: brancare chi era stato, dargli tutta la colpa dei tumulti e tagliargli la testa. Chi c’era dice che ogni volta che uno provava a parlare dei brissotini traditori o del prezzo del pane, saltava su un gianfotti con la parrucca a domandare chi, chi mai, chi mai al mondo aveva avuto l’ardire di far partire un colpo dal cannone d’allarme. E allora dalle tribune gli rispondevano: «Tutti! Siamo stati tutti! Tagliateci la testa!» Tanto che alla fine Robespierre il giovane, Agostino detto Bonbon, s’era rotto le uova di quella manfrina e aveva detto chiaro che lui lo sapeva chi era stato a suonare quel cannone: erano stati i traditori della patria, i controrivoluzionari, gli emigrati coi loro intrighi e micmac, i rivoltosi di Lione e della Vandea. E giù applausi e strilli e «Bravo!» come se piovessero.
Che poi non è che a noialtri non ci fotta chi ha suonato il cannone di Pontenuovo. Son tre giorni che ce lo chiediamo. E pare che i fratelli Machard hanno uno zio che conosce bene una delle guardie del cannone medesimo, e questa guardia qui dice che lui l’ha visto quello che ha acceso la miccia, e che prima di accenderla ha fatto una tirata in bretone che non finiva più, mescolata di fottiquesto e fotti–quell’altro. Ma poi, quando la guardia ha provato a imitarlo, pare che non era bretone sbrisga, e che insomma, almeno l’imitazione, somigliava più al catalano. Siccome che il catalano non lo conosce bene nessuno, alla fine ci siamo detti che sì, doveva proprio essere catalano, e ci siamo messi a discutere dell’altra questione. Perché questo tizio era vestito in maschera, insomma portava un costume, e su questo ci sono pochi dubbi.
Insomma pare che il cannone d’allarme, dopo aver mandato tutti in Guyana in catalano, l’ha appicciato Scaramouche.