III.

Siamo giunti alla lirica. Delle voci che essa ebbe ne' primi decennii del secolo nostro, due furono le solenni: quella del Manzoni e quella del Leopardi. Ora, se difficilmente si potrebbe immaginare tanta differenza tra due scrittori quanta veramente fu tra l'uno e l'altro di loro; da una parte il romantico, dall'altra il classico; dall'una il credente cattolico, dall'altra il filosofo scettico; un amore ebbero comune, e lo espressero tutt'e due liricamente.

.... L'armi, qua l'armi: io solo

Combatterò, procomberò sol io.

Dammi, o ciel, che sia foco

Agl'italici petti il sangue mio!

esclamava romanamente il povero contino di Recanati, dopo aver da poco dismesso l'abito di seminarista. Poi disperò di tutto e di tutti; o forse credè disperare? Quel dolore mondiale bene il Mazzini vide che celava la ferita profonda d'un dolore personale, ferita esulcerata dalle sorti della patria. Alla quale a ogni modo diede il Leopardi anche i canti pel monumento a Dante, per Angelo Mai, per [143] le nozze della sorella Paolina, per un vincitore nel pallone: augurandole uomini e donne forti, e animatori al bene gli esempii de' grandi nel passato, i conforti de' migliori nel presente. Fin quando, esausto dal male, si diè a deridere nell'allegoria de' Paralipomeni la rivoluzione napoletana del 1820-21, nel narrare la morte eroica di Rubatocchi, dinanzi a quel topolino che si sacrificava alla patria ei fu vinto dal fantasma della virtù che aveva fatto sconfessare da Bruto, e a lei si volse con l'apostrofe fervida: - Santa Virtù! - dove Virtù val quanto Amore di patria. Onde Alessandro Poerio, che doveva morire di piombo austriaco, difendendo egli napoletano Venezia, nel piangere la morte del Leopardi, bene a ragione lo esaltava poeta della patria comune e magnanimo consigliere de' futuri soldati d'Italia; e bene a ragione le polizie proibivano que' canti ribelli e perseguitavano chi li possedesse.

Dal canto suo il Manzoni, con modi e intenti, in tutto il resto, diversi; e già accennai ad alcune delle sue poesie dal Trionfo della Libertà in poi. Chi tanto ammirava l'Alfieri da sdegnarsi, pure amando il Monti, che altri osasse metterli a pari, s'era nel 1814 levato su, in una canzone, contro la memoria delle guerre di Napoleone che aveva [144] tratti fuor d'Italia, per una causa non loro, gli Italiani; e aveva detto, egli il Manzoni, ciò che poco dopo dirà con simile pensiero il Leopardi:

Oh giorni! oh campi che nomar non oso!

Deh! per chi mai scorrea

Quel sangue onde il terren vostro è fumoso?

O madri orbate, o spose, a chi crescea

Nel sen custode ogni viril portato?

Era tristezza esser feconde e rea

Novella il dirvi: un pargoletto è nato.

E al proclama del Murat, l'anno dopo, quel proclama in cui si suscitava dalle Alpi allo stretto di Scilla l'Italia tutta alla indipendenza, aveva dato la canzone, che pur gli rimase interrotta dagli eventi, in cui affermava:

...... Eran le forze sparse

E non le voglie; e quasi in ogni petto

Vivea questo concetto:

Liberi non sarem se non siamo uni;

Ai men forti di noi gregge dispetto,

Fin che non sorga un uom che ci raduni.

L'impresa del Murat fallì; l'Italia cadde tutta, volente o nolente, sotto le unghie dell'Austria, fredde e aguzze. Ma non per nulla i soldati nostri avean combattuto accanto ai Francesi più anni eroicamente; non per nulla quanto la penisola aveva di menti e di cuori aveva meditato e scritto [145] e cantato su la libertà e l'indipendenza nostra. Napoli e il Piemonte insorgono, vogliono la costituzione, la ottengono: i Lombardi sperano che le milizie costituzionali scendano in campo a liberare anche loro, e, affrettandosi incontro, varcano il Ticino.

Soffermati sull'arida sponda

Volti i guardi al varcato Ticino,

Tutti assorti nel nuovo destino,

Certi in cor dell'antica virtù,

Han giurato: Non fia che quest'onda

Scorra più tra due rive straniere;

Non fia loco ove sorgan barriere

Tra l'Italia e l'Italia, mai più!

L'han giurato: altri forti a quel giuro

Rispondean da fraterne contrade,

Affilando nell'ombre le spade

Che or levate scintillano al sol.

Già le destre hanno stretto le destre;

Già le sacre parole son porte:

O compagni sul letto di morte

O fratelli sul libero suol.

Il metro, e un qualche accenno, vi han subito rammentato l'inno del Torti seminarista; ma non mi curavo di farvi osservare ciò (che ha mai che fare, quanto alla forza lirica, l'inno di lui con questo del Manzoni?), e il raffronto, se mai, tende a un'osservazione che dovrem fare più oltre. Qui importa [146] soltanto riconoscere, che il Manzoni, come già per la lirica sacra, nel coro La battaglia di Maclodio, e in questi versi, accettava i metri e le intonazioni de' predecessori suoi, che furon molti tra piccoli e minimi nella poesia della seconda metà del secolo scorso e ne' primi anni del presente: se non che, infondendovi per entro l'anima e l'arte sua superiori, veniva a effetti originali e spesso sublimi.

Sublime è infatti la chiusa, come di rado fu la lirica antica e la moderna:

Oh giornate del nostro riscatto!

Oh dolente per sempre colui

Che da lunge, dal labbro d'altrui,

Come un uomo straniero, le udrà!

Che a' suoi figli narrandole un giorno,

Dovrà dir sospirando: io non c'era;

Che la santa vittrice bandiera

Salutata quel dì non avrà.

Sorrideva poi, da vecchio, il Manzoni quando gli chiedevano se proprio allora, nel '21, avesse composto questi versi profetici, o non piuttosto nel '48 dopo le Cinque giornate; sorrideva, e confessò ch'era stato profeta.

[147]

Share on Twitter Share on Facebook