I moti del 1820-21 mandarono allo Spielberg il Pellico: e Giunio Bazzoni ne pianse la morte, di cui s'era a torto sparsa la voce, in un'ode allora famosa: là anche mandarono il Maroncelli; ed egli, mentre aspettava l'amputazione della gamba, inviava canticchiando alle aure d'Italia una sua improvvisata canzonetta. Que' moti stessi fecero passare in Inghilterra, tra altri molti, Gabriele Rossetti e Giovanni Berchet.
Scoppiata la rivoluzione, il Rossetti, tra il popolo che glielo chiedeva, aveva improvvisato a Napoli un canto che era divenuto subito popolare. - Oh finalmente siam liberi! - e il facile improvvisatore e librettista eccolo tessere rime in ghirlanda attorno al ritornello tolto dalla canzone del Metastasio a Nice:
Non sogno questa volta,
Non sogno libertà!
Poi un altro canto, del pari improvvisato, per l'alba del 9 luglio 1820, quando il re giurò la costituzione per farsi, come poi si vide, spergiuro:
Sei pur bella cogli astri sul crine!
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Ma di lì a pochi mesi, minacciato di morte come carbonaro, si salvò travestito da officiale inglese e andò a Malta. Dal vascello inglese che lo recava nell'esilio malediva «il re fellone». Poi, a Londra, rabbrividendo sotto la nebbia eterna, rimpiangeva il sole del suo Mezzogiorno; ma quando gli veniva in mente a qual caro prezzo di libertà e umana dignità i suoi concittadini se ne godessero i raggi, preferiva durare a soffrire:
O Britannia venturosa,
Trista nebbia, è ver, t'ingombra,
Ma quest'ombra orror non ha.
Sii di luce ancor più priva
Pur ch'io viva in libertà!
Là a Londra andava, dopo la carcere austriaca, Giovita Scalvini bresciano, che a quel clima non resse, e ne riparò in Francia. Meditava sull'amara lezione, si accorgeva che le congiure non basterebbero a suscitare la nazione tutta, e al poemetto L'Esule affidava così i suoi dolori come gli ammonimenti: - No, l'Italia non leverà l'infermo fianco da terra senza il poderoso braccio della sua plebe. -
E là a Londra, del pari, il modenese Pietro Giannone, che carcerato due volte non aspettò la terza; improvvisatore come il Rossetti, esule come lui. Da Londra, nel '27, è datato il suo Esule, romanzo storico [149] in versi, sui carbonari emiliani, in cui confessava d'aver troppo sovente sacrificato al cittadino il poeta; santo sacrificio, quando l'arte voleva e doveva riuscire arma di guerra. Dopo aver tanti anni tribolato senza casa e senza tetto, senza refrigerio, ostinato nel peccato dell'amore di patria, come bene cantò di lui il Giusti, morì, voi lo sapete (e forse tra voi mi ascolta chi gli fu gentile consolatrice) qui a Firenze, tra noi, nel '72.
E là anche a Londra, Giovanni Berchet. Nato a Milano il 23 dicembre 1783, aveva cominciato la sua vita di poeta, a venti anni, traducendo nel 1807 dall'inglese del Gray le maledizioni e le tremende profezie scagliate dal bardo gallese, superstite a tutti i trucidati compagni, su Odoardo I invasore e carnefice, innanzi di precipitarsi dalla rupe ne' flutti, subito dopo compiuto quel suo canto postremo. Si direbbe un simbolo profetico della Musa dello stesso Berchet. E intanto satireggiava con eleganza su' funerali e sull'amore, secondo la tradizione pariniana, rinnovata allora dallo Zanoia e dal Manzoni medesimo ne' sermoni: ma più gli era giovamento, e nella vita, per gli offici, e nell'arte, per l'avanzamento del gusto, tradurre ancora dagli stranieri, il Visionario dello Schiller, il Vicario di Wakefield del Goldsmith, rimpiangendo nella prefazione di [150] questo libro, che tanto bene potrebbero fare i romanzi, e nol facessero, e che il buffone alle spese della virtù avesse più fortuna che il moralista. Così nel 1809 invocava (e qui l'augurio profetico va sul Manzoni) che l'Italia imitasse pe' romanzi buoni l'Inghilterra. Ora, nel Vicario è una ballata che il Berchet tradusse in polimetro; d'un pellegrino che chiede ricovero a un eremita; e questi, impietosito dal dolore di lui, lo ricetta, lo ascolta, finisce con l'accorgersi che è una fanciulla; ed ella gli narra allora come già derise Edevino che l'amava; onde Edevino disperato andò a morir nel deserto, ed ella ne cerca la tomba a morirvi sopra: naturalmente si riconoscono, e fan pace. Chi pensasse ad alcun che di mezzo tra il Bardo del Gray e l'Edevino del Goldsmith, un poemetto cioè in cui lo spirito del canto politico fosse infuso nella forma d'una ballata affettiva, avrebbe ciò che riuscirono le romanze patriottiche del Berchet.
Nel novembre del '21 si trovava questi una sera in casa di amici, quando eccovi un commissario di polizia, che trae da parte una signora nota per le opinioni liberali, e l'avverte secretamente, qualsiasi ne fosse la ragione, che il conte Confalonieri sta per essere arrestato. Il Berchet ode l'avviso; sa di che ha da temere anche per sè; corre a casa; fugge, mentre [151] la sorella gli arde tutte le carte; e quando la polizia arriva a perquisire e sequestrare, egli è di là dal confine, in salvo. Quali colpe temeva lo facessero impiccare o dannare al carcere duro? Era stato col Pellico l'anima del Conciliatore, il giornale romantico; aveva aiutato con mille lire dell'Arrivabene a comprare un cavallo per un aiutante di campo di Carlo Alberto!; era de' liberali sospetti già innanzi i moti del '21, sì che il governo gli aveva negato un officio di traduttore. E che d'essere sospetto si meritasse, mostrò indi a poco ne' fatti.
A Londra, impiegato in una casa commerciale di milanesi, sentì subito profondamente ciò che gli esuli italiani fossero allora; e potrebbero essere sue le parole che indi a poco scriveva di là Santorre Santarosa al Panizzi: «L'emigrazione italiana prende, a' miei occhi, un carattere di permanenza; comunque sia, è certo che ha un carattere storico: e siamo tutti debitori all'infelice nazione di cui siamo la parte sagrificata, di ogni nostra opera, di ogni nostro pensiero nell'esilio non meno che se noi fossimo nel fôro di Roma o nei comizi di Modena o di Torino. Possiamo onorare il nome italiano nella Gran Brettagna coll'intierezza della vita, coll'utilità dei lavori, colla dignità dei discorsi e dei costumi, e col sopportare, anzi vincere, la povertà colla costanza [152] e col lavoro.» Ed egli, il poeta, mentre teneva la corrispondenza mercantile, dando più lavoro di quanto il principale benefico volesse, e sfuggendo alla tentazione di farsi troppo amico del Foscolo, che non godeva piena stima per poca dignità di vita, scriveva a conforto suo e a vantaggio della causa italiana I profughi di Parga, cominciati a Milano, e scriveva e pubblicava a più riprese le romanze sotto l'emblema di una lampada in cui una mano versa nuovo olio, col motto alere flammam, e l'altro motto in epigrafe «Adieu, my native land, adieu» (doloroso compendio di dolori e speranze); Clarina, Il romito del Cenisio, Il rimorso, Matilde, Il trovatore, Giulia. Quindi, nel '29, Le Fantasie.