Ho già spiegato quel, che mi è sembrato più a proposito intorno agli scorpioni, catapulte, baliste, ed anche alle testuggini, ed alle torri, e chi sieno stati gl’inventori, e come si debbano fare. Non mi è paruto necessario scrivere anche delle scale, delle gabbie, e delle altre cose, che sono di facile struttura: queste in fatti le sogliono far da per loro gli stessi soldati, nè servono sempre in tutti i luoghi, nè della medesima struttura; mentre differiscono difese da difese, e le fortificazioni di ciascuna nazione: diversamente per esempio si costruiscono le macchine contro gli audaci e temerarj, che non si fa contro gli accorti, o contro i timidi. Da questo trattato però potrà, chi vi porrà attenzione, fare scelta fra tante cose, e comporre senza bisogno d’ajuto sicuramente cose nuove atte alle contingenze, e ai luoghi.
Della difesa poi non si può dar regola per iscritto: mentre le macchine, che armano i nemici, non sono secondo le nostre regole; onde il più delle volte sono le loro sul fatto con una pronta acutezza d’ingegno senza macchine fracassate. Così per esempio si narra accaduto ai Rodiotti. Era in Rodi l’architetto Diogneto, a cui si corrispondeva ogni anno dal pubblico un’onorifico soldo per la professione. Capitò in quel tempo in Rodi da Arado un altro architetto per nome Callia; e radunata udienza, mostrò un modello di muro, con sopra una macchina su di una nizza, e con quella sospendeva, e trasportava dentro il muro una Elepoli, che vi si accostasse: avendo veduto, ed ammirato questo modello i Rodiotti, tolsero a Diogneto l’annuo assegnamento, e conferirono la carica a Callia.
Frattanto il Re Demetrio, che fu per l’ostinazione soprannomato Poliorcete, avendo mossa guerra contro Rodi, menò seco Epimaco, famoso Architetto Ateniese. Costui in fatti ammannì una elepoli con infinita spesa, e sommo sapere e fatica, mentre aveva questa di altezza 125 piedi, e 60 di larghezza, e la fortificò con cilizj di ferro, e cuoj freschi in modo, che avrebbe potuto sicuramente resistere al colpo di un sasso di 360 libbre scagliato da una balista. Pesava tutta la macchina 360 mila libbre. Or’essendo stato dai Rodiotti richiesto Callia, perchè ammannisse la sua macchina contra l’elepoli, e la trasportasse dentro le mura, come avea promesso, disse non potersi fare; mentre non in tutte le cose va la stessa regola, ma ve ne sono di quelle, che hanno l’effetto tanto in grande, quanto ne’ modelli piccoli: altre, che non se ne può far modelli, ma che tanto possono eseguirsi: ed altre finalmente, che sembrano verisimili ne’ modelli, ma poi volendosi trasportare in grande, svaniscono, come si può da questo ricavare. Si fa col succhiello un buco di mezzo dito, di un dito, e sino a un dito e mezzo: ma se si volesse per la stessa ragione fare di un palmo, non è possibile; di mezzo piede poi, o maggiore non è affatto nemmeno da pensarsi: così del pari quel, che si vede fatto in modelli piccoli, non è difficile farsi anche in una grandezza mediocre, ma non si può però conseguire lo stesso in grandezza maggiore. Quando si avvidero d’essere stati così ingannati i Rodiotti, i quali avevano fatto vergognoso torto a Diogneto, e videro il nemico pertinacemente accostarsi, e la macchina preparata per assalire la città, temendo il pericolo della schiavitù, e il prossimo eccidio de’ cittadini, si prostrarono a piè di Diogneto, pregandolo di dar soccorso alla patria. Questi al principio ricusò di farlo: ma dopo che si portarono a pregarlo le innocenti donzelle, e i ragazzi coi sacerdoti, si obbligò, ma col patto che fosse stata sua, se mai la prendea, la macchina.
Ciò stabilito, in quella parte, onde doveva accostare la macchina, fece un buco nel muro, e ordinò, che tanto il pubblico, quanto i privati andassero per quel buco a gettare di là dal muro, per mezzo de’ canali fattivi, quanto avevano d’acqua, sterco, e fango. Essendo dunque per tutta la notte stata ivi gettata gran quantità d’acqua, di fango, e di sterco, il dì seguente accostandosi l’elepoli, prima che si avvicinasse al muro, spinta dentro l’umida voragine v’incagliò, nè potè più avanzarsi, nè ritirarsi: quindi Demetrio, che si vide ingannato dal sapere di Diogneto, partì colla sua armata. E i Rodiotti liberati dalla guerra coll’astuzia di Diogneto, gli rendettero pubbliche grazie, e lo gratificarono di tutti gli onori, ed ornamenti: Diogneto trasportò dentro la città l’elepoli, la situò in pubblico, e vi scrisse: Diogneto fa al popolo un dono di questo bottino. Da ciò si vede, che per la difesa non servono tanto le macchine, quanto il sapere.
Lo stesso avvenne in Chio, ove avendo gl’inimici ammannite sulle navi le macchine delle sambuche, di notte i Chii gettarono in mare avanti il muro terra, arena, e pietre: quindi avendo quelli voluto il dì seguente accostarsi, si arrenarono le navi sopra quei banchi, che erano sott’acqua, senza potere nè più accostarsi al muro, nè ritirarsi: onde furono ivi trafitte dai fuochi, ed incendiate.
Anche quando la città d’Apollonia era assediata, e i nemici pensavano cavare una mina, e penetrare inavvedutamente dentro la fortezza: essendo stato ciò dagli esploratori avvisato agli Apossoniesi, sbigottiti dalla nuova per il timore, non sapendo che partito prendere, si erano perduti d’animo, perchè non poteano sapere nè il tempo, nè il luogo, onde sbucassero gl’inimici. Allora fu, che Trifone Alessandrino, che vi facea da Architetto, disegnò molti scavamenti da dentro il muro, per i quali si usciva fino fuori, ma non oltra un tratto di saetta, e in tutti vi appese de’ vasi di bronzo: di questi quei, ch’erano appesi nello scavamento, che corrispondeva dirimpetto alla mina dei nemici, cominciarono a rimbombare ai colpi de’ ferri; e così si scopri la direzione, per la quale pensavano i nemici per mina penetrare dentro la città. Ciò saputo, preparò de’ vasi d’acqua bollente, e di pece, sterco umano, ed arena rovente per farne cadere sul capo de’ nemici: quindi di notte fece molti buchi, per i quali a un tratto versandone, ammazzò tutti gl’inimici, che si trovavano in quel travaglio.
Parimente in Marsiglia, mentre era assediata, e vi avevano i nemici fatte più di 30 mine, insospettitisi i Marsigliani, sbassarono molto più tutto il fosso, che era attorno al muro, e così tutte le mine andarono a sboccare nel fosso; e in quei luoghi, ove non li trovava fosso, fecero da dentro il muro una grandissima profondità e di lunghezza, e di larghezza, come una piscina, appunto dirimpetto alla direzione della mina, e la riempirono d’acqua di pozzi e di mare. Così, allo sboccar che vi fece la mina, la gran quantità d’acqua, che vi entrò, abbattè i sostegni, e quei che vi si trovarono, tutti vi morirono oppressi dalla quantità dell’acqua, e dalla ruina del fosso. Ivi medesimo, quando si ergeva il terrapieno dirimpetto al muro, e si alzava il lavoro con tronchi d’alberi, scagliando colle baliste spranghe di ferro roventi, mandarono a fuoco tutto l’apparecchio. Quando in oltre accostarono la testuggine coll’ariete per battere il muro, calarono un calappio; e legato così l’ariete, girando cogli argani un timpano, ne sospesero il capo, nè fecero offendere il muro: e finalmente fracassarono tutta la macchina con palle di fuoco, e colpi di balista. Così tutte queste città sono rimaste con vittoria libere non per operazione di macchina, ma per ingegno degli Architetti contro le operazioni delle medesime.