Capitolo XIX. Delle Macchine da Oppugnare.

Ho parlato, quanto ho potuto, di queste cose, mi resta ora trattare delle cose appartenenti all’espugnazione, cioè delle macchine, colle quali possono e vincere i comandanti, e difendersi le città. La prima, che s’inventasse per oppugnare, fu l’ariete, e fu così.

I Cartaginesi si accamparono per battere Cadice: ed avendo alla prima preso il castello, s’ingegnarono di demolirlo; e perchè non ebbero strumenti a proposito, presero un trave, e sostenendolo colle mani, frequentemente percuotevano colla testa l’orlo del muro, e così abbattendo il primo ordine di pietre, e di mano in mano gli altri, rovesciarono tutta la fortezza. Dopo di ciò un certo fabbro di Tiro, chiamato Pesasmeno, mosso da questa prima invenzione, fermò un’antenna, ed a quella sospese, a simiglianza di una bilancia, un’altro palo a traverso; e così a forza de’ gran colpi, col tirare in dietro e rispignere, gettò a terra il muro di Cadice.

Cetra Calcedonese fu poi il primo, che vi fece la base di tavole con delle ruote, e sopra vi compose con pali dritti e traversi una capanna: e in quella sospese l’ariete, coprendola di cuoj bovini, affinchè vi stesse sicuro, chi dovea stare sotto quella macchina ad abbattere il muro; e perchè era di lento moto, la chiamarono testuggine dall’ariete. Questi furono i primi principj di queste specie di macchine; ma poi quando Filippo, figliuolo di Aminta, assediava Bizanzio, Polido Tessalo se ne servì in molte fogge, e più facili: da costui l’appresero Diade, e Cherea, i quali militarono sotto Alessandro. Quindi Diade dimostrò per iscritto la sua invenzione delle torri ambulatorie, le quali egli soleva far trasportare in pezzi dall’esercito, e di più il succhiello, e la macchina per salire, colla quale si poteva entrare in piano sopra al muro, come anche il corvo demolitore, che alcuni chiamano grue: si serviva ancora di un’ariete colle ruote, e ne lasciò scritto il modo.

Così questi dice, che non debba farsi torre, che sia meno alta di 60 cubiti, e larga di 17; e che debba la cima ristringere un quinto della base: che i travi dritti sieno da piede per tre quarti, da capo per mezzo piede: che bisogni fare questa torre a dieci palchi con finestre per tutte le parti; e che la massima torre possa essere alta 120 cubiti, e larga cubiti 23½, restringendola al di sopra per un quinto della base, i travi dritti sotto di un piede, e sopra mezzo. Quella torre grande la faceva a 20 palchi, ed a ciascun palco un parapetto di tre cubiti: coperte finalmente di cuoj crudi, per assicurarle dai saettamenti.

La costruzione della testuggine coll’ariete era simile. Era larga cubiti 30, alta oltre del tetto 16: l’altezza del tetto dalla gronda alla cima cubiti 7: era alta anche di più, mentre sul mezzo del tetto aveva una torretta larga non meno di cubiti 12, e s’inalzava per quattro tavolati, sopra l’ultimo dei quali si situavano gli scorpioni, e le catapulte, e in quei di sotto si conservava quantità grande d’acqua, per estinguere il fuoco, se mai vi si appiccava. In essa si situava la macchina per l’ariete, la quale in Greco li chiama Criodoce, cioè vi si poneva un subbio lavorato a torno, sopra cui andava situato l’ariete, che spinto innanzi e indietro dalle funi, produceva grandi effetti: era questo coperto di cuoj freschi a simiglianza della torre.

Così poi egli descrive la struttura del Succhiello. Faceva, come suol farsi nelle catapulte e nelle baliste, la macchina come una testuggine, e in mezzo un canale retto da pilastri lungo cubiti 50, e alto uno, e in esso si situava a traverso un peritrochio: in fronte a destra e a sinistra erano due taglie, per mezzo delle quali si muoveva un trave colla punta ferrata, che era in quel canale: sotto lo stesso canale vi erano de’ subbj fermi, i quali rendevano più frequente, e più veemente il moto: sopra il trave, che vi era, si girava una volta per coprire il canale, e per attaccarvi i cuoj freschi, de’ quali era coperta la macchina.

Non trattò del Corvo, perchè considerò non essere quella macchina di uso alcuno. Mi son bene accorto, che egli promise solamente, ma non ne spiegò, la costruzione della scala, che in Greco si chiama Epibathra, e delle altre macchine da mare, per le quali si può entrare dalle navi. Ho esposto la costruzione delle macchine, come le descrive Diade: mi resta ora ad esporre quello, che mi pare utile, e ho appreso da’ maestri.

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