Capitolo VI. Maniera di Tesifonte per trasportar grossi pesi.

Non è fuor di proposito rapportare anche l’ingegnosa invenzione di Tesifonte. Costui, volendo condurre dalle cave sino al tempio di Diana in Efeso i fusti delle colonne, (fig. 2.) sul dubbio, che e per la grandezza de’ pesi, e per la mollezza del terreno delle strade, non affondassero le ruote de’ carri, fece così. Commise e conficcò quattro travicelli larghi ognuno quattro dita, due cioè a traverso AA di due altri BB lunghi, quanto il fusto della colonna, e ai due capi de’ fusti impiombò due perni di ferro C, a coda di rondine) e ne’ legni incastrò gli anelli, per farvici girare detti perni: di più attaccò alle teste delle traverse d’elce DD. I bilichi, che entravano negli anelli, giravano con tanta facilità, che al tirar de’ buoi, ravvolgendosi i fusti attorno de’ perni e degli anelli, ruotavano continuamente.

Avendo in questo modo trasportati tutti i fusti, e premendo il trasporto altresì delle cornici, Metagene, figliuolo di Tesifonte, adattò la maniera tenuta per i fusti anche alle cornici. Fece in fatti delle ruote di dodici piedi in circa, e nel mezzo di esse incassò le teste delle cornici, accomodate pure con perni, ed anelli. Così tirando i buoi il telajo, col girare de’ perni dentro gli anelli, giravano anche le ruote: e le cornici ficcate nelle ruote come assi, capitarono senza intoppo nella maniera stessa de’fusti alla fabbrica. Ne vediamo un esempio ne’ cilindri, che si usano per ispianare le vie nelle palestre. Ciò per altro non si farebbe potuto fare, prima se non fosse stato vicino il luogo: giacchè dalla cava fino al tempio non vi è piu di otto miglia; e poi non vi sono affatto altibassi, ma è una continua pianura.

A’ nostri tempi però, essendo stata già dalla vecchiaja franta la base della statua colossale di Apollo nel tempio, sul timore che non cadessee questa, e si frantumassse, fecero l’appalto per una base della stessa cava. Lo prese un certo Paconio: era questa base lunga dodici piedi, larga otto, alta sei: or Paconio per punto di gloria non volle condurla, come aveva fatto Metagene, ma collo stesso metodo pensò fare una macchina di diversa specie. Fece dunque delle ruote di circa quindici piedi, e in queste incastrò le teste del masso: indi attorno attorno della pietra ficcò da ruota e ruota circolarmente delle bacchette di due dita, distanti fra loro non più di un piede; ed avvolse la fune attorno alle bacchette, e fece tirare da più buoi tal fune, la quale svolgendosi, facea girare le ruote: così però non potendo tirar dritto, ma torcendo ora in una, ora in un’altra parte, gli bisognava spesso dare indietro. Quindi fra il tirare innanzi e indietro consumò Paconio il danaro sì, che non potè compir l’opera.

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