Il dolce inganno.

Poi che la pioggia la quale, dal mattino, cadeva monotona e fastidiosa e il vento, che faceva lamentare gli alberi giù nel giardino, avevan messo il gelo e la tristezza nel nostro bel salottino, sì che Maria era stata vinta dal freddo e quasi piangeva di malinconia, io accesi il bel fuoco amico nel caminetto e così, – ben vicini alla fiamma gaia che scoppiettava – le raccontai, per farla ridere, questa storiella di altri tempi.

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«Il castello del conte Oldrado ergeva la sua vecchia massa bruna, piena di severità pe’ vassalii indocili, sulla vetta del colle, dai fianchi vestiti de’ pacifici uliveti: e la sua ombra gigantesca veniva a ricordare, lungo tutta la giornata, il dominio delle sue mura merlate al povero paesello raccolto umilmente a’ suoi piedi.

Sebbene molto giovane il conte Oldrado aveva fama di vero solitario: pochi bravi nel suo castello, ma fedelissimi; molti archibugi, e, più ancora, buoni cani da caccia, chè in quanto a questo, il giovine conte era un secondo Sant’Uberto. Egli partiva all’alba, seguito dai due più fidati suoi bravi e da’ suoi magnifici bracchi e non era di ritorno al castello che a tarda sera, pieno di preda e di sonno. Ora precisamente in una di coteste sue gite egli ebbe occasione di veder giù nella valle, molto lontano dal suo maniero, una fanciulla di straordinaria bellezza, ne’ pressi della villa del nobile conte Della Torre. La bellissima fanciulla, seguita da un’ancella, altri non era che la bionda Giselda, la unica figliuola del conte.

Oldrado, solitario e selvaggio com’era, mai aveva posto mente a donne: anzi, dicono i cronisti, ch’ei mai si fosse valso del tradizionale jus che gli spettava ne’ mariaggi de’ suoi vassalli, jus ch’ei passava sempre al suo guardacaccia fidato.

Ma, questa volta, la ingenua baldanza e i grandi occhi azzurri della figliuola del Conte, tanto lo colpirono che poco tardò ch’ei comprese d’amarla fortemente. Ma, nello stesso tempo, un suo fedele, da lui mandato segretamente a spiare terreno, gli dava la triste novella che la bella fanciulla era già sposa promessa ad un nobile cavaliere spagnuolo.

Oldrado non istette tanto in sul forse: il suo amore per la bella e nobile fanciulla (alla quale però mai egli si era palesato, nè pure fatto conoscer di persona) era ormai talmente divenuto possente, ch’ei deliberò senz’altro di venire ad un passo estremo.

Stabilì di farla rapire da’ suoi bravi.

Ed ecco la povera Giselda, più morta che viva, pallida come un cencio e tremante come colomba smarrita, buttata in un angolo dell’elegante stanza di una delle torrette del castello del conte Oldrado. Una lunga ora era trascorsa dopo la rapida scena del bosco, quando allontanatasi un istante dalla fida ancella, due braccia poderose l’avean afferrata, ed imbavagliata perchè non gridasse: dopo ella era svenuta, pazza dal terrore e non ricordava più nulla. Una lunga ora era trascorsa e nessuno era venuto a toglierla dall’abbattimento mortale che l’aveva colta appena deposta da’ suoi rapitori in quella stanza. Ad un tratto udì cigolare la chiave della porta, e la povera fanciulla chiuse gli occhi per non vedere.... La porta si riaprì ed un giovane scudiero, nella sua veste succinta, il corsetto di seta attillato, gli speroni di argento, entrò pianamente nella stanza, con il berretto in mano, dopo averne chiesto rispettosamente licenza. La fanciulla si coprì il volto con le mani e mandò un sommesso gemito.

Lo scudiero si fermò lontano da lei e così le rivolse la parola:

— Nobile damigella, mi manda il mio nobilissimo padrone il conte Oldrado, per assicurarvi che nulla abbiate a temere: egli ora è partito dal Castello, chiamato altrove da urgente contrattempo, e lontano dovrà trattenersi qualche tempo ancora. Io sono frattanto ai vostri ordini, madamigella; comandatemi pure.

Il giovane tacque, attendendo rispettoso.

La sua voce era sì dolce, il suo viso sì nobile e leale che la contessina non potè a meno, rassicurata alquanto, di sollevare gli occhi e fissarglieli un istante in volto. – Il giovine continuò:

— Voi avrete al momento un’ancella alla quale potrete comandare come padrona.... ed io sono ai vostri servizi, madamigella.

E il giovane scudiero, piegato lievemente il ginocchio, si allontanò.

La contessina, rassicurata alquanto dalle parole del giovane, si alzò e si guardò intorno. Ella era dunque prigioniera del conte Oldrado! Di quel misterioso e rustico signore, del quale si scorgeva il tozzo maniero dalla sua bella villa giù nel piano e del quale aveva sentito parlare come di cavaliere sì strano e solitario!.... Ella non lo conosceva: e tremava raffigurandosi la sua figura arcigna e selvaggia, dalla grande barba, dallo sguardo severo. – Ma egli era, per allora, lontano e per qualche tempo non sarebbe venuto. Da ciò rassicurata decise di trar partito per cercar di conquistare al più presto la perduta libertà.

Si avvicinò al balcone e vide ch’era ferrato al di fuori. Spinse l’occhio giù nella valle; la distesa immensa era tutta ridente di verde e soffusa di luce, il paesello bianco appariva come un pugno di neve a’ piedi della collina, e aguzzando bene la vista ella scorse come piccola macchia bruna la villa di suo padre, quella villa ove in quel momento madonna Tecla, sua madre, e il povero Conte suo padre piangevano la sua scomparsa. Gli occhi a quel pensiero le s’empirono di lagrime e si buttò ginocchioni a terra pregando Iddio che la salvasse dal fiero periglio in cui era caduta.

Di lì a poco entrava l’ancella che cercò di rassicurarla meglio che potè: le parlò del Conte Oldrado, dell’ardente ma rispettoso amore che le portava, le spiegò come sua unica intenzione fosse di farla sua sposa e come avesse dovuto perciò rapirla al cavaliere fidanzato – e come un misterioso corriere fosse già stato inviato al conte della Torre, sì da fargli sapere come la sua figliuola non corresse alcun pericolo, senza però fargli noto ove si trovasse, naturalmente.

Tutte queste cose tranquillizzarono un poco la nobile fanciulla, la quale si dispose ad attendere senz’altro – visto inutile ogni mezzo di fuga – la venuta del Conte per parlargli ed impetrare da lui stesso, se nobile era veramente come lo dipingeva l’ancella, la sua liberazione.

Intanto i giorni passavano e il Conte non compariva. – La contessina per distrarsi ascoltava i racconti avventurosi che il giovane scudiero improvvisava per lei, rispettosamente seduto a’ suoi piedi.

Egli aveva uno strano incanto nella voce, il giovane scudiero: e le sue storie di armi e d’amore eran tutte stranamente malinconiche, sì che la fanciulla, dopo, le ripensava ancor lungamente. E mentre egli parlava e sfilavan davanti alla mente i suoi cavalieri audaci vestiti di ferro e le sue castellane bionde (eran sempre bionde le sue castellane!) che dall’alto de’ loro palchi gettavano l’ultimo addio al cavaliere per esse morente nel torneo, cinta la sciarpa da esse donata, alla cintola; o quando narrava de’ foschi cimenti della guerra, e le tempeste delle armi e la vittoria.... gli occhi lampeggiavano al giovane scudiero, e la fanciulla, suo malgrado, abbassava i suoi, turbata. – Giacchè egli era molto bello, in quei momenti, il giovane scudiero del conte Oldrado!

Così nacque tra la nobile fanciulla e il giovane scudiero un tenero legame di simpatia e di amicizia. Egli indugiava presso la sua nobile padroncina ed ella non si accorgeva troppo del suo indugio....

Finchè un giorno, mentre l’ancella si era allontanata un istante dal fianco della contessina, il giovane scudiero, pallido e tremante, inginocchiato a’ suoi piedi, le confessò l’ardente suo amore.

La fanciulla, pallidissima e turbata ancor ella, non seppe rispondere nulla all’audace confessione che poteva pur costare la vita all’imprudente scudiero: ma il suo sguardo smarrito ben palesava l’interno pensiero.

— Ah! comprendo – mormorò il giovane – io sono un povero scudiero: è grave colpa per me aspirare a l’amore di sì nobile damigella! Perdonatemi, contessina: fu un momento d’errore, perdonatemi.

La fanciulla taceva sempre.

Egli mormorò ancora:

— Oh! s’io fossi un cavaliere! forse, non è vero, madamigella? forse allora voi mi amereste....

La fanciulla lo guardò in volto: un lampo: ed egli comprese che non poteva amarlo, solo perchè non era un cavaliere.

Il domani il giovane scudiero, molto triste ed abbattuto, annunciò alla damigella che il suo nobile padrone era arrivato e che l’avrebbe quando ad ella fosse piaciuto, ricevuta ne’ suoi appartamenti.

Ella si turbò tutta ed egli le disse, prima di lasciarla:

— Fatevi coraggio, damigella, egli è buono: affidatevi al suo onore.

E per il resto del giorno lo scudiero non apparve più.

Verso sera l’ancella venne a pregarla che si degnasse seguirla, che il nobile Conte Oldrado, suo padrone, la pregava di lasciarsi accompagnare da lui. La fanciulla raccolse tutto il suo coraggio e seguì l’ancella....

Traversò i sontuosi appartamenti del castello e nell’ultima sala, prima di presentarsi al suo crudele carceriere, ella titubò, un momento. Poi, vinta la momentanea debolezza, entrò risoluta.... Splendidamente vestito il conte Oldrado le venne incontro. La fanciulla dette un grido: guardò nuovamente mal credendo a’ propri occhi.... Ma il dubbio più possibile non era! Il nobile conte Oldrado altri non era che il giovine e malinconico scudiero, ora commosso e ridente, scintillante nella più preziosa sua veste di cavaliere.

Egli inginocchiato a’ suoi piedi le diceva:

— Amor mio, perdona il dolce inganno: io ho voluto non rapirti con la forza, ma farti mia. Ci sono riuscito?....

La contessina anche questa volta non rispose alle appassionate parole del giovane, ma, come rialzandosi Oldrado la strinse al cuore, ella poggiò la bionda testa sulla sua spalla, e tacque ancora.

Un mese dopo – ottenuto il perdono dal vecchio marchese della Torre – la bella Giselda diveniva la castellana del tozzo maniero di Oldrado e il cavaliere spagnuolo partiva per la Spagna per curarsi d’una grave ferita di punta al petto, toccata in singolar tenzone con il nobile conte Oldrado.»

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La storiella di altri tempi era finita; la fiamma allegra scoppiettava ancora nel caminetto ma Maria, che non aveva più freddo ora, aveva reclinato, così, un pochino la testa – chè moriva dal sonno, adesso.

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