IV

Chiesi ad Edoardo:

— Cosa ne dici tu, dunque?

— Mah! io penso che qua sotto ci cova, certissimamente, qualche famosa diavoleria...

— Che bisognerà bene scoprire!

— Lo spero, almeno.

— Vediamo dunque di venirne a capo.

— Non chiedo di meglio.

— Cominciamo intanto col fare una cosa.

— Parla.

— Cerchiamo di ragionare in poco.... o, meglio ancora, di coordinare alquanto le idee e le cose.

— Dici bene.

— Chissà che lo sprazzo di luce che cerchiamo....

— Non ci balzi fuori quando meno ce lo aspettiamo, vuoi dire?

— Precisamente.

— Chissà!

— Dunque cominciamo.

— Ti ascolto.

— Aiutami nella mia ricerca.

— Eccomi pronto.

— Un anonimo abitatore del Castello..... il vecchio diavolo dalla barba bianca, quello del racconto delle guide, forse?.... non sappiamo; un anonimo abitatore del Castello, dunque, scopre per il primo un segreto..... che noi ora neppur immaginiamo in che mai possa consistere.

— Bene.

— Gli capita un giorno fra le mani la Cronaca di frate Francesco, quella che piglia le mosse da Noè, e, giunto ad un certo punto della sua lettura, sente il bisogno di appoggiare quanto sta leggendo con le famose parole: “et avendo udito si facto romor.... ne cercammo havendo forte sospecto l’uscita.... et scopremmo mirabile cosa mai veduta nè udita che…. il resto, come sai, se l’è inghiottito il Diavolo, che a quanto pare quassù ha l’abitudine di far sparire tutto, sin le parole dai manoscritti....

— Vediamo dunque davanti a quale tratto della narrazione di frate Francesco l’anonimo postillatore mette la sua nota....

— Ecco qua, guarda, – rispose Edoardo, mostrandomi il vecchio codice, – è precisamente nel punto in cui il cronista narra del famoso paesello inghiottito per le sue nequizie....

— È proprio così. Dunque....

— Continua.

— Dunque le parole del postillatore si dovrebbero riferire a qualcosa che ha precisamente attinenza con il paese scomparso....

— Parrebbe.

Restammo un istante pensosi ambedue.

Ad un tratto sobbalzai.

— Un’idea, – esclamai.

— Parla, – gridò Edoardo.

— Che si tratti delle rovine appunto del famoso paesello....

— Ci pensava anch’io.

— Ma dove? noi conosciamo ormai ogni angolo della valle e....

Sorrisi.

— Sopra sì.... è vero, noi la conosciamo tutta, la valle! ma sotto....

— Cosa intendi dire?

— Sotto terra....

— Perbacco! che le rovine.... il mistero... tu dici....

— Sia sotto terra! e perchè no?

— Diamine!

A un tratto Edoardo battè le mani balzando in piedi.

— Un lampo di luce!

— Di’, dunque....

— Il pozzo!

— Ebbene?

— Il pozzo! il pozzo! non comprendi dunque?

— No.

— Ma e tutto lì il mistero! il pozzo?...

—Tu supponi, dunque....

— Che il pozzo, precisamente, sia quello che deve racchiudere nel suo cupo buio senza fondo il segreto che ci turba....

— Forse hai ragione!

— Sento che stiamo per raggiungerla.... questa famosa verità.

— Difatti, trattandosi d’un pozzo.... e della verità!.... tu conosci il vecchio proverbio....

— Non è il momento di scherzare, amico mio.

— Hai ragione. Proseguiamo piuttosto la nostra indagine intuitiva.

— Dici bene. Siano rimasti dunque al punto in cui l’anonimo postillatore.... che ha scoperto e che sa.... mette la sua nota in margine al vecchio codice....

— Tuo zio, venuto dopo moltissimi anni al Castello, come noi ora, scopre anche lui il mistero.... legge anche lui Cronaca di frate Francesco.... trova la nota in margine.... e di suo pugno vi scrive le sue brave parole.... che sono qui.

— Rileggile bene, te ne prego.

— Eccole. “Poichè Dio ha voluto ch’io sapessi, cerchi il predestinato lettore che Fortuna ha voluto, e troverà, e anch’egli saprà e se oserà conoscerà meglio ciò ch’io per troppa umana prudenza o debolezza non seppi volere e non potei completamente.”

— E non manca di consacrarle con tanto di firma.

— Lo vedi?

Cerchi il predestinato lettore che Fortuna ha voluto.... e troverà, – ripetei.

I predestinati lettori siamo stati noi....

— Abbiamo cercato....

— Ed abbiamo trovato.

— Sì, abbiamo trovato il documento manoscritto nascosto sotto la pergamena della copertina del Codice.... documento che evidentemente dovea contenere la chiara, precisa e totale spiegazione del mistero, cioè la rivelazione della mirabile cosa mai veduta nè udita dell’ignoto postillatore.

— E causa la poca prudenza di questo benedetto tuo signor zio, che ha lasciato sì ben esposto il vecchio codice da permettere che l’acqua lo facesse marcire comodamente.... noi, in fondo, malgrado tutta la nostra scoperta, non ne sappiamo nulla più di prima!

— Purtroppo è vero.

— E, come t’ho detto, – soggiunsi – in quel documento che tuo zio deve aver sudato a mettere insieme, poichè è scritto a caratteri veramente microscopici, doveva esservi una narrazione, o descrizione che sia.... lunga assai ed esauriente.... Almeno così apparisce dalle poche parole che la muffa si è compiaciuta risparmiare per noi.

— Verissimo.

— Intanto resta assodato che la verità.... ossia il mistero è nel pozzo....

— Le parole dello zio lo dicon chiaro, leggi: “discenda anch’egli com’io son disceso!” È chiaro?

— Lo credo bene! Discendere vuol ben dire andar sotto terra.... e per andar sotto terra occorre bene un tunnel, un buco, un pozzo....

— Non ti pare?

— Chiarissimo. E la fune?

— “Sia lunga, il più lunga possibile la fune a cui si affiderà.”

— Che te ne pare!

— È d’una chiarezza lampante.

— Sembra anche a me.

— Ora dimmi una cosa, – soggiunsi, – perchè mai dunque tuo zio.... ha voluto tener segreta questa sua scoperta che nè noi nè altri evidentemente conosce.... che ragioni ne aveva egli?.... perchè non ha lasciato, liberamente, una parola in proposito.... nel suo testamento o altrove?

— Mah! mio zio, te l’ho già detto, era un uomo assai bizzarro.... piuttosto misantropo.... e forse....

— Può darsi anche, – esclamai, – che tale mistero sia d’una tale natura.... dirò così.... che non importi la sua conoscenza a tutti gli uomini.... O, mi spiegherò più chiaro, tale che sia meglio venga piuttosto ignorata che conosciuta dalla maggioranza....

— Può darsi.

— Difatti tutto il complesso delle cose porta a crederlo.... Vedi, per esempio, egli ha affidato il suo segreto – come del resto ha fatto anche l’anonimo postillatore che, secondo me, deve essere stato il primo scopritore della misteriosa mirabil cosa – egli ha affidato il suo segreto, diceva, ad un vecchio codice polveroso.... roba questa che va per le sole mani degli studiosi.... dei topi di biblioteca.... gente seria, come generalmente si suppone.

— Deve essere proprio così.

— Che ne concludiamo?

— Che bisognerà calarci nel pozzo.

— L’oseresti?

— E perchè no!

— Ci muniremo di una corda lunga, come dice lo zio, molto lunga....

— E, come dice lui, noi oseremo e proveremo....

— E se Dio vorrà, sapremo, anche noi.

— Speriamolo.

— Ancora una cosa, – dissi.

— Parla.

— Siamo discreti nelle nostre ricerche....

— Cioè?

— Non parliamone a nessuno.... seguiamo in questo la scuola dello zio.

— Gelosia di scopritori!

— Sicuramente. Non si sa mai....

— Speri di trovar qualche tesoro?

— Chissà? se non d’oro, di qualche prezioso secreto scientifico.

— E noi che Fortuna ha voluto....

— Siamo dunque i soli possessori, almeno sino alla fine delle nostre ricerche, del mistero....

— Siamo d’accordo.

*

E sin dal mattino del giorno dopo cominciammo i preparativi per la famosa discesa nel pozzo che occupava ormai con la sua bizzarra attrazione tutte le nostre facoltà.

Anzitutto ispezionammo bene il luogo.

Il pozzo si trovava, come il lettore già conosce, in un breve bugigattolo posto direttamente accanto alla Biblioteca. Sul muro si apriva una non larga nicchia, che un tempo, si vedeva, doveva esser stata munita di un uscio per tenerla chiusa e forse anche celata. Di questo antico uscio ora non esistevano che i cardini, vecchi e arrugginiti.

Sotto la nicchia si apriva la bocca del pozzo, rotonda, piuttosto angusta, tale da lasciar passare appena un solo uomo.

— Bisognerà anzitutto far gettare giù parte del muro, onde assicurarci del vero diametro del condotto, – diss’io.

E spiegai ad Edoardo il mio piano.

Noi ci saremmo calati nel pozzo insieme – se la dimensione di questo ce lo permetteva – seduti entro una specie di navicella da pallone, leggiera ma solida, una specie di robusta canestra di vimini ch’io avrei pensato a far eseguire, senza far comprendere, s’intende, lo scopo per cui doveva servire.

Due uomini intelligenti e ben istruiti da noi ci avrebbero aiutato a discendere, tenendo e regolando la corda, che dovea essere una robusta fune lunghissima. Terminata la prima corda, mediante un apposito gancio da me ideato, si sarebbe continuato a discendere applicando ad essa una seconda fune, di pari lunghezza, e così di seguito finchè occorresse.

I due uomini – che si sarebbero scelti fra le guide alpine di nostra conoscenza più intelligenti e discrete – dovevano tenersi continuamente in comunicazione con noi mediante funicelle sottili ed appositi segnali.

E si sarebbe tentato!...

Chissà cosa ci riserbava la sorte bizzarra?...

— Non ti aveva detto, – esclamò Edoardo, – che questa nostra gita al Castellaccio che mio zio ha voluto lasciarmi avrebbe finito per divenire interessante?

E ci mettemmo subito all’opera.

Anzitutto furono trovati i due uomini – due robusti giovanotti dalla fisonomia aperta e sveglia e dai polsi dotati di certi muscoli di acciaio!...

Quando essi conobbero la nostra idea di sprofondare giù nel misterioso pozzo – così, per curiosità d’ispezionarne il fondo! – si mostrarono sbigottiti anzi che no, e ci consigliarono di smettere l’idea.

Alfine finirono per convincersi ch’era inutile tentar di distorci da quello ch’essi credevano un nostro capriccio – e promisero che ci avrebbero servito del loro meglio e senza far troppe parole.

Allora ordinai la navicella (non posso che chiamarla così) di vimini, e ne sorvegliai io stesso la costruzione.

Essa aveva il fondo di legno a mo’ di zattera, perchè nel caso – pensai – che ci fosse dato trovare il fondo con dell’acqua potessimo sostenerci su di essa a galla.

Aveva la capacità adatta a contenere due persone, le pareti robustissime involte dalle cordicelle di sostegno, le quali mettevano capo e si riunivano poi ad un grosso anello ove dovea essere solidamente attaccata la fune di trazione.

Terminata la cesta e verificatane la solidità, passammo a praticare il lavoro stabilito su all’imboccatura del pozzo.

Inutile dire che avevamo già conosciuta l’ampiezza, sulla cui misura appunto avevamo regolato le dimensioni della cesta-navicella.

La bocca fu ampliata gettando giù una parte del muro della cameretta. Quando tutto fu pronto, presi tutti gli accordi con le due guide, che avevamo nel frattempo minutamente istruite su tutti i particolare della nostra.... discesa, li congedammo, prendendo con essi l’appuntamento pel giorno dopo.

Il mattino di quel famoso giorno dopo, alle ore dieci precise, noi ci saremmo calati giù.... nelle tenebre e nell’ignoto!...

E davanti a quel nero baratro che pareva quasi attrarci con le sue ombre misteriose e con la sua nera gola aperta, noi restammo un momento pensosi, ambedue vagamente perplessi e turbati, ma più che mai decisi di tentare la bizzarra avventura.

*

E il mattino seguente, verso le dieci, noi eravamo nuovamente davanti al baratro, pronti alla nostra spedizione. Una robusta trave era tata posta trasversalmente sull’apertura, ad essa era stata assicurata solidamente una puleggia che doveva permettere alla fune di scorrer dolcemente e continuamente, senza sbalzi nè scosse. Il capo della fune era tenuto a mano dai due robusti giovinotti che avevamo associato all’impresa, i quali dovean tener continuamente d’occhio le due sottili funicelle, sui cui movimenti, precedentemente da noi combinati, essi dovean regolar la discesa, rallentarla, accelerarla o tirar subito in su la nostra prigione di vimini.

Tutto era pronto.

La cesta-navicella solidamente assicurata alla fune, sospesa sul baratro: noi due preparati – Edoardo vestito, per bizzarria, del solito suo costume niveo, lo stesso col quale l’aveva incontrato a Parigi – io, fornitomi, per prudenza, d’un poco pesante ma consistente plaid da alpinista.

Ambedue eravamo armati del nostro revolver, a sei colpi, ed io aveva una torcia a vento.

Edoardo, in più, aveva in mano un sottile scudiscio, che sempre portava per abitudine, dal manico d’oro cesellato.

— Le dieci precise, – gridò Edoardo consultando il suo cronometro.

La navicella, solidamente tenuta ferma sull’abisso, come s’è detto, dai due giovani, ci attendeva....

Vi montammo dentro, un dopo l’altro.

La torcia fu accesa.

Stava per dare il segnale di cominciare a lasciar scorrere la fune e iniziare in tal modo la discesa, quando....

Un rumore di passi precipitosi nella Biblioteca, un andito di respiro ansante e finalmente la comparsa sulla porta del bugigattolo d’un inaspettato personaggio ci arrestò tutti.

Era Jean Bonnin!

Egli si arrestò davanti al nostro bizzarro gruppo stupefatto.

—Ah! – gridò egli, – vi ci colgo dunque!... lo diceva io!... Lo sospettava bene!...

— Che intendete voi dire! – esclamò Edoardo, visibilmente seccato.

— Ah! io sapeva, io sentiva che qualcosa di strano.... voi stavate preparando! È una settimana che io vi spiava.... Voi eravate preoccupati.... qualcosa di bizzarro stavate almanaccando.... di nuovo.... d’inaudito!...

— Ebbene e con questo?... – chiese con tutta flemma Edoardo.

Io incominciava a sentirmi vincere da una viva irritazione nervosa.

Eduardo mi fe’ cenno di calmarmi.

— Ah! e mel chiedete?... Voi avete un segreto.... un mistero.... voi state tentando qualcosa di stravagante, di mai fatto.... e lo sapete, voi, che io non anelo altro, che mi struggo.... che sto cercando affannosamente....avventure nuove.... mai vedute!... emozioni forti.... e non mi dite nulla!...

— Amico mio, – rispose Edoardo, – ormai è troppo tardi! Noi non abbiamo pensato che a voi fosse caro, come a noi è venuto il capriccio di fare una piccola gita d’ispezione..... negli abissi di questo nostro pozzo... Tanto più poi che non crediamo sia cosa da meritare tanta....

— Oh, voi m’ingannate! – gridò ancora lo strano tipo, – è da una settimana che io vi studio, vi osservo, vi analizzo.... vi spio, sì, vi dirò anche la brutta parola! È vero, io vi ho spiato! E ho veduta tutta la vostra preoccupazione, tutte le vostre ricerche nella Biblioteca, tutti i vostri assaggi, quassù, giù nella valle, intorno al Castello!

Il poveretto riprese fiato, e continuò:

— Voi avete scoperto qualche segreto.... qualche inaudito segreto.... vi prego, amici miei, vi scongiuro, in grazia....

E il curioso tipo giunse le mani, in vero atto di domandare una grazia:

— Fatemi partecipe del vostro segreto.... lasciate venir giù anche me con voi....

— Siete matto! – gridai, – non vedete che ormai è impossibile? la cesta è appena sufficiente per due....

— E osservate anche che questi due bravi giovanotti si stancano a tenerci così sospesi inutilmente, e che la torcia si consuma, quindi.... – disse Edoardo.

— È inutile insistere, dunque, caro Jean Bonnin, – feci io, – siate buono, e sopra tutto quieto....

E continuai:

— Anzi, poichè ormai ci siete anche voi, aiutate questi due giovanotti a calarci giù.... e a stare attenti sopratutto ai nostri segnali. Vi promettiamo.... al nostro ritorno, di riferirvi tutto ciò che avremo veduto.... e, se lo vorrete, di fare anche voi una seconda discesa giù.... se vi sarà qualcosa di bello o di curioso da vedere.

— Se lo vorrò!... – esclamò il povero Jean Bonnin rassegnato.

— Dunque, da bravo, mettetevi anche voi sull’attenti e.... cominciamo la nostra manovra, – dissi.

— Una parola, ancora.... – mormorò Edoardo.

— Ebbene?

— Se tardassimo a ritornare....

— Evvia!

— E chi lo sa? tutto può darsi.

— Speriamo di no, – disse Jean Bonnin.

— Speriamolo. In ogni modo, dato il caso che noi tardassimo a ritornar su.... vi prego, mio ottimo Jean Bonnin, di prendere a mio nome consegna di Saint-Malin.... sino al mio ritorno.

— Sarete contentato, – disse Jean Bonnin.

— Allora pronti, – gridai, – attenti!

— Uno, due, tre....

E la fune cominciò a scorrere.

La nostra cesta di vimini, entrò nel buio....

— Buon viaggio signori! – risuonò sulla nostra testa la voce di Jean Bonnin.

La discesa avveniva – come eravamo rimasti d’accordo – piuttosto lenta, quindi potevano osservare le due pareti del pozzo perfettamente liscie, quasi levigate, che correvano sotto i nostri sguardi.

Sopra le nostre teste scorgevamo il piccolo foro luminoso del pozzo: sotto di noi buio profondo.

La torcia mandava i suoi riflessi sanguigni sulle pareti liscie, non venate da una scalfittura qualsiasi.

— Strano davvero, questo condotto! – mormorò Edoardo.

Credemmo opportuno dare il cenno di affrettare alquanto la discesa, visto che nulla l’impediva sinora.

Tirai la cordicella.

Nel fare questo movimento la torcia che tenevo sollevata in alto si abbattè un istante verso il cavo che ci sosteneva nel vuoto.

Bastò questo semplice contatto perchè uno strano, inaspettato fatto avvenisse.

Una piccola quantità di resina accesa restò aderente alta corda.

Arida e secca come essa era – non avevamo pensato d’inumidirla alquanto! – essa ci apparve in un momento avvolta dal fuoco.

Fu cosa d’un attimo.

Vedemmo i fili che la componevano disfarsi, scindersi sotto il fulmineo bacio del fuoco che li disgregava....

Sotto i nostri occhi atterriti, mentre uno strano freddo mortale ci correva le membra, vedemmo il gancio che sosteneva la nostra cesta appeso solamente a pochi tratti di filo, che sotto il peso della trazione della cesta si disgregavano sempre più....

Feci istintivamente un balzo per afferrare la corda sopra l’irreparabile disastro....

Troppo tardi.

Sentii la cesta sotto i piedi mancarmi.... ed io caddi confusamente sul mio compagno.

Precipitammo nel vuoto!

La cesta s’era staccata dalla corda, la torcia sfuggita dalle mie mani tremanti era scomparsa, e noi avviticchiati convulsamente l’un l’altro, sul fondo della nostra navicella di vimini, sprofondavamo spaventosamente....

Share on Twitter Share on Facebook