— Vedrai, caro amico, – riprese Edoardo, – che se la corrente ci avvicinerà alle rive di questo eterno mare sotterraneo e se le vôlte della caverna – poichè noi in fondo non siamo ora altro che in una immensa caverna, già serbatoio un tempo di materiali vulcanici vomitati da qualche cratere – se le vôlte della caverna, diceva, si abbasseranno, tu assisterai al più strano e pittoresco spettacolo.... Luci rosse, verdi, cilestrine, color d’oro.... secondo la differente natura cristallina delle rocce che avremo sul capo e che ne circonderanno!...
— Attendiamo dunque quanto tu ci prometti, – mormorai, – Intanto....
— Ebbene?
— Sto constatando su me stesso una cosa...
— Cioè?
— Come un senso di sopore, un bisogno di sonno, direi quasi....
— Effetto della mia predica scientifica forse.
— O no!
— Non è altro che natural stanchezza.... prodotta dall’anormale nostra respirazione in questa atmosfera per noi non abituale.
— Forse è così.
— E anch’io.... non nego di dividere, in parte, la tua sensazione. Facciamo una cosa.... schiacciamo un bel sonnellino!
— Lo potremo fare senza pericolo?
— Lo direi.... del resto io ho il sonno abitualmente leggero e un nonnulla basta a svegliarmi. Cerchiamo di accoccolarci in maniera, su questa nostra angusta zattera, di riuscire a chiudere gli occhi. Non è, ne convengo, un letto troppo comodo.... ma la scelta non è a nostra disposizione, in questo momento. Perciò proviamo....
— Dici bene.
— Una mezz’oretta di riposo ci farà bene.
Ci accomodammo come potemmo, la testa sulle ginocchia.... e un momento dopo Morfeo s’era fatto padrone di noi con tutti i suoi papaveri.
Quanto durò il nostro sonno?
Non so.
Ricordo che ad un certo punto mi sentii scuotere delicatamente e la voce di Edoardo mi sussurrò all’orecchio:
— Guarda.
Apersi gli occhi e uno spettacolo inaudito colpì i miei sguardi.
La nostra zattera scorreva ora velocemente in una specie di stretto corridoio, dalla vôlta relativamente bassa. Mille luci, mille bagliori sprizzavano dai vividi cristalli che ne circondavano. Bianchissimi fulgori adamantini, delicati berilli, rosei finissimi, azzurri d’una tenuità ideale si fondevano con certi sprazzi ardenti d’oro liquido, con certi guizzi color di sangue che parean di fuoco.
Tutti questi bagliori tenui o ardenti si fondevano in un solo, grande, infinito fulgore che quasi ne accecava.
E anche noi eravam luminosi.
Dai nostri abiti, dai nostri bottoni, dal manico d’oro dello scudiscio di Edoardo sprizzavan getti di fiamma, strani, mai veduti.
L’acqua stessa sotto di noi scintillava: essa parea un ammasso di perle; ogni gocciola un atomo di luce.
La scìa che la zattera lasciava dietro di noi era un solco di luce.
Io stupefatto, rapito, mormorava:
— Ma dove siamo, mio Dio, dove siamo?
Edoardo, teneva lo sguardo, smarrito suo malgrado, fermo sullo smagliante spettacolo che ne circondava!...
Ad un tratto una strana, assurda idea, attraversò con un brivido tutto il mio essere.
— Edoardo... – mormorai.
Egli, rapito nella fulgida visione, non mi udiva.
— Edoardo! – ripetei.
Il mio amico si volse a me.
— Edoardo, – ripresi, – io tremo.... Un’idea.... una strana, impossibile idea.... mi ha colto....
Egli mi fissò.
— Ebbene? – mormorò.
— Edoardo, – ripresi, anelante mio malgrado, – io penso.... una fantastica cosa.
— Di’ dunque.
— Che noi, non siamo più, che noi.... siamo morti.... che la caduta ci abbia uccisi.... che questo sia.... il mondo dell’al di là, che ci aspetta dopo morti.
Edoardo mi posò una mano sulla spalla.
— Quest’idea.... amico mio.... è balenata anche a me, poco fa, quando tu dormivi!
— Ebbene?
— La mia ragione.... il mio cervello che sento ancora di creatura viva e pulsante.... mi dice di no, che noi apparteniamo ancora agli esseri viventi!
— È vero.... ma una prova, del resto, una prova sicura.... ancora non l’abbiamo. Chissà, chissà?...
— Non credo, mormorò ancora Edoardo, – queste mie mani.... questo mio corpo.... non è di spettro. Io sento che vivo! Ah no, è stata, la nostra, una rapida illusione.... ah sì, certamente!
— Lo credi tu?... – mormorai ancora, titubante e smarrito.
*
La nostra zattera correva sempre sotto la smagliante vôlta.
Noi intanto osservavamo ch’essa si andava sempre più slargando: una strana vegetazione ne gremiva le sponde. Grandi bizzarri arbusti fosforescenti, che alla forma – tutte capricciose volute – ricordavano i nostri licheni, di dimensioni però colossali. Fra queste mai vedute creature vegetali di un mondo differente del nostro si alzavano certi sottili steli sormontati da piccole ombrelle tremolanti e iridiscenti, alti più di un metro.
— Forse funghi, – mormorò Edoardo, – di specie a noi ignote, sulla terra.
Ormai eravamo convinti di appartenere ad un altro mondo – misterioso e sotterraneo – di cui nessuno, su nel nostro, avea la più lontana idea.
Come ho detto, man mano che la zattera, portata dalla viva corrente, procedeva nel suo rapido cammino, noi vedevamo il corridoio luminoso aprirsi, per così dire, slargarsi, farsi più vasto, da tutti i lati: e le rive si facean sempre più folte di nuove e bizzarre creature vegetali.
La zattera si teneva, per effetto della corrente stessa, rasente verso il lato sinistro del lungo corridoio – non so chiamarlo altrimenti – e l’acqua sotto di noi era sì limpida che vedevamo i piccoli granelli di sabbia lucenti sfolgorare come diamanti.
Quella sabbia era corsa poi in tutti i versi da esseri viventi: piccoli insetti, che noi distinguevamo chiaramente, dalle antenne luminose, svelte lingue di fuoco che altro non potevan essere che strane anguille di varietà a noi ignote, forse appartenenti alla famiglia dei Protei, così poco diffusa sulla nostra terra.
Così pure ci colpiva uno strano tremolìo luminoso che ci pareva sorvolare sopra la bizzarra flora che gremiva la spiaggia.
Edoardo osservava lo spettacolo in silenzio, cercando farsene una ragione.
— Debbon essere, – diss’egli ad un tratto, – debbon essere farfalle.
— Sì, farfalle di specie nuove e ignote, come del resto tutto qua sotto, per noi....
Ad un tratto mandai un grido.
— Hai veduto? – esclamai.
Anche Edoardo aveva fortemente trasalito.
— Mi sembra, – rispose turbato.
— Ah! gli occhi non mi hanno ingannato! – ripetei fortemente agitato.
— Calmati, amico mio.... noi non siamo moralmente in istato normale.... cerchiamo di veder bene.
— Credi tu ad un’allucinazione?
— Non so.... osserviamo meglio.
E ci ponemmo ansiosi a spiare la riva.
— Ah! – gridò Edgardo.
— Hai veduto? – mormorai.
— Sì.... una figura umana!
— Questo mondo è dunque popolato! – gridai al colmo dello stupore.
— La vedi?... è là! dietro gli arbusti... si china.... si rialza.... prosegue.... Ah! Non m’inganno!...
Una figura bianca, difatti, vestita come d’un paludamento candido, errava fra quegli strani boschetti.
Essa dava a noi le spalle e non poteva scorgerci.
Ma era una vera figura umana – di forme e d’altezza comune – e tutta circonfusa di luce candida, come ogni cosa in quel fantastico mondo di sogno!
Uno strano tremito mi agitava tutto.
Anche Edoardo m’appariva fortemente turbato.
Dove eravamo, dove eravamo noi dunque?!
In quale misterioso e bizzarro mondo eravamo noi penetrati?
Che voleva dire questo succedersi da qualche ora, per noi, di avvenimenti così straordinari e impreveduti?...
E l’idea fissa mi riprese, veemente.
Eravamo noi dunque ancora esseri viventi?
Appartenevamo noi ancor dunque alle creature popolanti la terra?
Era tutto un sogno cotesto – un sogno dalle cui spire invano io cercava di svincolarmi – o realmente i miei occhi vedevano, le mie mani toccavano, il mio cuore batteva ancora, il mio sangue circolava e il cervello mi pulsava nel cranio?
O eravam noi morti – e questo era l’inizio della vita ignota dell’al di là?
Le mie membra eran corse da un fremito febbrile e taceva, vinto tutto dalla grande e intensa commozione che s’era fatta padrona di me.
L’ombra bianca intanto errava sempre sulla spiaggia, vagolante fra un arbusto e l’altro.
Essa non pareva essersi peranco accorta di noi.
— Vogliamo alzare la voce.... chiamarla? – mormorò Edoardo.
E la sua voce, suo malgrado, tremava.
— No.... – mormorai io, vinto senza volerlo da un inesplicabile sgomento, – no, te ne prego.
— Perchè, dunque? – chiese Edoardo.
— Non lo so, ma, te ne prego, non lo fare....
Edoardo tacque.
Intanto la figura, sempre fra quegli arbusti, pareva allontanarsi gradatamente.
La scorgemmo ancora per alcun poco, sempre più indecisa fra le luminose masse vegetali, finchè svanì del tutto ai nostri sguardi....