VI.

La terribile strada era aspra e penosa. Composta da enormi, naturali scaglioni, su’ quali avanzavamo a fatica, essa ci appariva irta e senza fine

Noi salivamo ansanti; io precedeva, animato da una forza misteriosa, che mi spingeva impaziente su que’ massi che mi doveano guidare alla luce del sole: dietro di me veniva Kamelia, agile e svelta, che quasi parea sentir nell’aspra ascesa minor fatica di noi. Chiudeva il breve corteo l’amico Edoardo, il quale appariva turbato e perplesso.

Forse egli non nutriva nessuna fiducia nella riuscita della nostra impresa.

Ad un certo punto – dopo un bel pezzo di cammino – la strada parve farsi men tormentosa: ma in compenso ci apparì più erta e diritta, innanzi a noi.

Ora procedevamo più lentamente ancora: sentiva Edoardo che ansava fortemente.

Ci fermammo.

Un breve riposo era necessario, ormai.

Edoardo si gettò a terra, Kamelia venne a posar la testa sul mio seno.

Sotto di noi si stendeva il lago luminoso e Kromokokis.

Kamelia volse sopra di essi lo sguardo.

Vidi una lagrima sgorgarle da’ begli occhi smarriti e dolenti.

Compresi.

Era l’ultimo saluto al luogo ov’era nata, ove eran scorsi sin allora i suoi giorni, ove la sua vita avea sino a pochi istanti prima palpitato....

La serrai al mio cuore: e in quell’abbraccio io le diceva che perdeva la sua patria, era vero, ma conquistava l’amore più profondo e completo.

La fanciulla comprese: e m’alzò in volto i begli occhi che una dolce luce di amore e di riconoscenza ora illuminava.

Riprendemmo dopo qualche istante il cammino.

La via continuò un lungo tratto così, sempre in ripidissima ascesa, scavata quasi nella viva roccia. E cominciai a notare una stranissima cosa.

Man mano che salivamo la luce mancava.

Si stendeva sotto di noi, sempre, come una grande valle, il paese sottostante, il lago cioè e le case di Komokokis, ma tutto ci appariva come velato in una lontana nebbia luminosa, il cui chiarore appariva offuscato e illanguidito.

Intorno a noi eran quasi ormai le tenebre.

Ad un tratto la strada parve penetrare nel masso.

L’oscurità cresceva.

Ad un certo punto, la strada sembrò formare un gomito.

Svoltammo.

L’oscurità più profonda era davanti a noi.

Ci arrestammo alquanto smarriti.

— Procediamo sempre, – gridai.

Continuammo il cammino ancora nella tenebra più fitta.

La salita si era fatta ripidissima.

Ad un tratto essa ci apparve dritta, quasi a picco.

Ci fermammo inquieti.

— Come si fa ora? – mormorò Edoardo.

E nel tono della sua voce sentii chiaramente lo scoraggiamento che, malgrado tutta la mia sicurezza di buona riuscita, doveva da qualche tempo averlo invaso.

— Sì, come si fa ora? – ripetè egli.

— Come si fa? – risposi, – in un modo semplicissimo: bisogna arrampicarci.

— Come le capre?

— Quasi.... Non sei tu un valente alpinista?

— O, almeno, lo sono stato, – sospirò malinconicamente il mio amico.

— E ritornerai ad esserlo, non dubitare, – risposi convinto.

— Speriamolo.

— Intanto coraggio, io salgo pel primo: tu sta attento, mi porgerai Kamelia.

E volto alla fanciulla le mormorai alcune ardenti parole di coraggio e di fede.

E cominciammo la terribile ascesa, tenendoci ai massi che sporgevano sull’abisso, facendo miracoli di equilibrio e di destrezza per non precipitare. Kamelia si teneva stretta al mio petto, e io sentiva il suo cuore battere precipitoso sul mio.

Una forza arcana mi aveva invaso. I miei polsi s’eran fatti di acciaio; io mi teneva, direi quasi, incastrato sul ruvido masso, mentre la mia diletta, tutta affidata a me, ormai, non mi pesava addosso più di una piuma.

Tacevamo: il momento era veramente terribile, ed ancora oggi ripensandovi sento un brivido corrermi le membra.

Ma salivamo, salivamo sempre!...

Ad un tratto, dopo un ultimo sforzo, mandai un grido di trionfo.

— Siamo giunti, – coraggio Edoardo.

Davanti a noi era il piano: nelle tenebre che ne circondavano i miei sensi acutamente tesi avean sentito il vuoto, la strada aperta e piana, la fine della terribile scala a picco: il riposo, la salvezza, forse la riuscita della nostra fantastica impresa.

Un ultimo sforzo e mi lasciai cadere, con Kamelia sempre serrata al petto, sopra una sabbia morbida e spessa che facea da letto alla nuova strada che nelle tenebre ci si apriva dinanzi.

Un momento dopo anche Edoardo, superato l’orifizio del terribile passo, si lasciava cadere al mio fianco, ansando, affranto, ma con un sospiro di supremo sollievo.

— L’abbiamo scampata bella! – riuscì a mormorare, ansimando.

— Lo vedi.

— Ma se il maledetto pozzo non fosse finito più? – borbottò ancora.

— Doveva finire, – esclamai.

— Hai veramente una gran fede, tu!

— Puoi dirlo.

Ah! come ci sembrò deliziosa la mezz’ora e più di riposo che prendemmo dopo quella indiavolata salita!

E fu quasi a malincuore che Edoardo si decise ad alzarsi per seguirci, dopo ch’io gli gridai:

— Suvvia, bisogna non addormentarsi ai primi passi: approfittiamo della bella strada che la Provvidenza ci ha aperta davanti.

E procedemmo sulla sabbia minuta ed un poco umida.

Ma ad un tratto ci fermammo.

Davanti a noi un fragore di acqua corrente ci annunciò chiaramente o un fiume od un lago.

— Qui scorre dell’acqua, – esclamò Edoardo.

— Come fare?

— Orizzontiamoci un po’.

— Proviamo, – mormorai, – ma come?

— Abituiamo gli occhi all’oscurità, – disse ancora Edoardo.

— Dubito molto di potervi riuscire, – dissi.

Continuammo alcun poco il cammino in silenzio. E dopo qualche istante esclamai:

— Hai ragione, Edoardo, non è del tutto buio, come credevano dapprima...

— Se lo diceva!... – mormorò l’amico, – i nostri occhi, raffinati ormai dalla luce di laggiù, hanno imparato a cogliere i più vaghi barlumi naturali.... Io discerno come una vaga penombra....

— Anch’io, – esclamò Kamelia.

— Benissimo, – gridai. – cerchiamo ora dunque di scoprire ove siamo.

E aguzzando la vista, e aiutandoci con le mani, comprendemmo d’essere sotto una galleria non troppo alta nè vasta, nel fondo della quale correva un velocissimo torrente, o fiume che fosse.

— La cosa sarebbe facilissima, sol che possedessimo una cosa... alla quale alla nostra partenza da Komokokis non abbiamo punto pensato.

— Cioè?

— Una barca.

— È vero.

— Ma qua, suppongo, siamo alquanto lontani da ogni possibile cantiere perchè ci sia dato procurarcela....

— Una barca forse, è vero, come tu dici, è impossibile trovarla, ma un’altra cosa, chissà?...

— Che cosa mai?

— Una zattera!

— Buonissima anch’essa.... ma dove trovarla?

—Trovarla? non c’è da trovarla.

— O dunque?

— La si fa.

— Ma occorreranno, m’immagino, dei tronchi d’alberi, delle tavole....

— Non importa.

— Come non importa?

— No, guarda là.

E accennai con la mano a Edoardo un colossale ammasso di oggetti bruni che s’ergevano davanti a noi, in fondo alla galleria.

— Che cosa sono?

— Funghi.

— E vorresti fare una zattera con dei funghi?

— Ma perdonami, amico mio, – esclamai, – tu scienziato, dottore, naturalista, non hai mai posto mente a que’ magnifici esemplari di funghi così abbondanti sulle rive del lago a Komokokis....

— Confesso che mi sono sfuggiti....

— Male. Se tu li avessi osservati avresti verificato ch’essi sono di tal natura, così legnosa e robusta, da vincere in resistenza e compattezza, il più forte legname delle nostre foreste.... Quelli di laggiù eran bassi, alti pochi centimetri. Osserva invece che masse poderose presentano cotesti....

Difatti quelle strane creature vegetali, alte più di un uomo, mostravano le loro ombrelle del diametro di due a tre metri.

— E tu vorresti ridurli in zattera? – esclamò Edoardo.

— E perchè no? – mormorai.

— Ebbene anche qua ti verrà a mancare una cosa semplicissima sì ma indispensabile.

— L’ascia per tagliarli, vuoi dire?

— Precisamente.

— Ne faremo a meno.

— Come farai dunque, uomo meraviglioso?

— Facendo a meno di tagliarli.

— Non ti comprendo.

— Guarda bene, laggiù. Vedi quella grossa ombrella caduta a terra?....

— Capisco che vuoi dire.... adoperarla senz’altro come barca?

— Proviamo.

— L’idea non è cattiva.... Purchè possa reggerci!

— Proviamo.

Ci avviammo alla curiosa carcassa vegetale. Era veramente una cosa bizzarra e da noi mai veduta. Figurarsi una smisurata calotta sferica capovolta, del diametro di quasi tre metri e anche più.

Provammo a smuoverla, la cosa non ci fu difficile, perchè, come aveva notato, la strana sostanza legnosa di cui eran formati cotesti bizzarri funghi, sebbene robusta e molto consistente, era in compenso assai poco pesante, tanto che riunendo i nostri sforzi ci fu agevole trarla fin quasi sulla riva del torrente che fragoroso correva davanti a noi....

Kamelia assisteva in silenzio alla nostra operazione.

Quando scorse l’oggetto del nostro lavoro, ebbe un lieve sorriso.

— Karatua! – mormorò.

Era il nome che in Komokokis davano a que’ strani esseri vegetali, sconosciuti affatto sulla nostra superficie terrestre.

E con poche parole ci assicurò ch’ella aveva veduto spesse volte adoperare sul lago quelle strane ombrelle a guisa d’imbarcazioni.

— Benissimo, – esclamai, volto a Edoardo, – nega pure se vuoi, dopo ciò, che il destino ci porga amichevolmente la mano, in tutti i modi!...

— Ce l’auguro, al pari di te, – si contentò di rispondere Eduardo, – ma c’è ancora una piccola cosa da mettere in chiaro....

— Parla dunque, o uomo sofistico....

— La barca c’è, ma.... sappiamo dove vada a finire questo nero torrente il cui suono mi pare tutt’altro che di buon augurio?...

— Va a finire evidentemente sulla superficie della terra.

— Ne sei sicuro, tu?

— Sicurissimo.

— D’onde hai tu tanta baldanzosa sicurezza?

— Da nulla e da tutto.

— Permettimi dirti che non ti comprendo.

— Una fede secreta mi dice ch’esso, il nero torrente la cui voce tu trovi di poco buon augurio.... è la strada che ci condurrà in salvo da questo.... benedetto paese sotterraneo.

— Una fede secreta?

— Nè più nè meno.

— Quand’è così.... rispetto la tua fede.

— Fai benissimo.

— E se invece.... mettiamo l’ipotesi, ci scaricasse bellamente in qualche abisso....

— Ti proibisco di continuare con i tuoi dubbi di malaugurio. Del resto ti fo notare una sola cosa....

— Sarebbe?

— Che ormai v’è poco da scegliere..., o ritornare indietro.... dal tuo centenario Kalika. che spero di non riveder mai più.... o abbandonarci fidenti alle onde di questo nero torrente che tutto mi fa sperare amico....

— E sin qui hai ragione.

— Dunque affidiamoci una buona volta al nostro destino.

E senz’altre parole, dopo aver collocato nel mezzo – il posto più sicuro – della nostra imbarcazione di nuovo genere Kamelia, che lasciava tutto fare senza profferire parola, riuscimmo a farla calare in acqua. Io fui l’ultimo a saltarvi leggermente dentro, a fianco di Edoardo, e la nostra barca fu ben tosto trascinata dalla rapida corrente, immersa nelle tenebre più profonde.

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