III.

Dal naturalismo così altamente inteso doveva sgorgare un'arte individuale, eminentemente soggettiva, un'arte che non procede da formule fatte, ma le desume da quel [321] travaglio incessante che l'occhio e la mente dell'artista non ristanno mai dal proseguire. Perciò con gli aspetti della natura, l'anima dell'artista entra e si rispecchia nell'opera d'arte. Il Vinci esprimeva questo concetto fondamentale nel Trattato della Pittura in un modo che non lascia luogo al più piccolo dubbio. Per lui non solamente l'artista deve ispirarsi al proprio estro, deve conformarsi alle attitudini naturali che egli ha, ma va più oltre. Egli crede che dentro al cervello di ogni artista ci sia “un giudizio proprio„, una specie di facoltà determinata, che la natura mette a disposizione di ogni singolo artista perchè egli ritragga, in una certa guisa particolare, il mondo esteriore. “Questo tal giudizio è di tanta potenza, dice Leonardo, ch'egli muove le braccia al pittore e fagli replicare sè medesimo, parendo a essa anima che quello sia il suo modo di figurare l'uomo; e chi non fa come lei faccia errore.„ A questa individualità poi corrisponde (e ne è come la più luminosa riprova) una specie di unicità nei singoli oggetti generati dall'arte. Niente si assomiglia in arte; questo è il concetto di Leonardo. Ammira le belle e armoniche forme delle statue antiche, dà anch'egli qualche precetto, qualche suggerimento per generalizzare le proporzioni del corpo umano, e andate discorrendo. Ma finisce sempre con l'insistere sulla massima che bisogna proporzionare ogni oggetto particolare con sè medesimo. Non è mai il modello rinnovato degli antichi il quale stabiliva che un corpo umano è alto tante teste e largo tante altre. No, Leonardo invece vi dice: studiate ogni singolo corpo umano, e rilevate e trasferite nella pittura vostra quella data proporzionalità che rappresenti il carattere di quel dato corpo, come voi lo vedete, e non di altro.

Questa la gran differenza che è tra Leonardo da Vinci e Leon Battista Alberti, ed Alberto Durer e Rubens, e tutti gli altri creatori di moduli, fino agli ultimi tedeschi, [322] che hanno voluto rinnovare questa specie di meccanismo geometrico applicato alla pittura. “La bellezza dei visi„ dice Leonardo “mai si trova essere replicata in natura, di modo che se tutte le bellezze, tutte le eccellenzie tornassero vive, esse sarebbero maggior numero di popolo che quello che al nostro secolo si trova. E siccome in esso secolo nessuno precisamente si somiglia, il medesimo interverrebbe alle dette bellezze e per questo, sommo difetto è dei pittori replicare gli medesimi moti, e gli medesimi volti e maniere di panno in una medesima istoria, e via discorrendo.„ Tutto, insomma, ciò che il pittore rappresenta, secondo Leonardo, dee avere un certo carattere di istantaneità, vale a dire vuole che sia ispirato dentro di lui da un particolare stato dell'animo, fuori di lui da una particolare visione che balzi ai suoi occhi, che impressioni i suoi sensi e che per via della mano si trasferisca nella forma elaborata. “Sempre il pittore deve cercare la prontitudine nell'atto naturale fatto dagli uomini all'improvviso e nato da potente affezione dei suoi affetti; e di quelli far breve ricordo nei suoi libretti e poi, a suo proposito, adoperarli. Finalmente la mente del pittore si deve del continuo trasmutare in tanti discorsi quante sono le figure degli oggetti notabili che dinanzi gli appariscono e di quelle fermare il passo e notarle, considerando il luogo e le circostanze, il lume e le ombre.

È impossibile, o signore, esprimere in termini più esatti gli intendimenti tecnici ed estetici della pittura di sostanza e di ambiente, quale oggi potrebbe vagheggiarla ed esercitarla ogni più progressivo animo d'artista!

Da queste premesse ideali passiamo alle conseguenze pratiche. La pittura di Leonardo è una meravigliosa testimonianza della singolarità del suo modo di intendere l'arte. Aggiungo qui di passaggio, che egli, pure essendo [323] così scrupoloso e sincero osservatore della natura, non s'acconciò mai ad essere, come Piero di Cosimo e altri del suo tempo, a guisa del letto di un fiume che accoglie indifferentemente tutte le acque, siano esse torbide o chiare. No. Questo naturalista aveva l'istinto della bellezza e procedeva per elettissime selezioni, e tutti i suoi tipi danno, per così dire, ragione veduta della sua scelta. Le figure di Leonardo, per una grande significazione di carattere, appaiono tutte segnate del segnacolo d'una razza distinta. Forse era la studiosa e perseverante scelta del pittore, forse era l'animo suo che infondeva a quelle teste qualche cosa di singolare, che ci innamora e ci esalta, sia ch'egli ci rappresenti la deviazione del tipo umano nelle deformità sue; sia che ci allegri e turbi insieme con quei sorrisi ineffabili di donna che non somigliano a nessun altro sorriso, eppure sono tanto femminili; sia che ci impensierisca e ci commuova colla espressione mistica di certe teste, ove il sentimento del divino è reso come in nessuna altra pittura, prima e dopo, fu reso mai.

E qui dovendo esemplificare mi trovo di fronte a un fatto singolare e ben triste, o signore. Questo nostro Leonardo, del quale tanto parliamo, è un artista in gran parte inedito. Peggio ancora, egli è un artista soppresso dall'opera del tempo. Quanta distruzione ha fatto il tempo sulle opere sue! Un po' per colpa di lui che il Vasari chiama instabile e vario, che cominciava mille cose e poi le tralasciava a metà, attratto sempre da quella sua eroica inquietudine di conoscere e fare del nuovo; un poco perchè anche gli accidenti della natura e della storia hanno cospirato a suo danno, fatto sta che di Leonardo quasi tutto è scomparso. Intanto dello scultore niente possiamo dire de visu. Delle tante opere in plastica di Leonardo, che pur gli diedero, lui vivente, tanta fama che per molti contemporanei suoi egli [324] era massimamente celebre come scultore, che resta a noi? Nulla! Il gran colosso di Francesco Sforza, con cui s'era gratificato l'animo di Lodovico il Moro, fu ben finito (non però fuso in bronzo) e inaugurato a Milano nella piazza del Vecchio Castello. Ma sopraggiungevano i Francesi di Luigi XII vincitore e invadevano Milano. Entrati i balestrieri guasconi in quel castello e visto là grandeggiare in forma di apoteosi il capo della dinastia ch'erano venuti a distruggere, naturalmente furono tratti dalla voglia di balestrarlo; e lo balestrarono, ahimè! tanto bene che il colosso andò in pezzi e non n'è più rimasto che qualche vago e dubbio ricordo in alcuni segni dell'autore, e in alcune miniature del tempo.

E anche della pittura di Leonardo da Vinci poco, ben poco rimane di conservato e di indubbiamente autentico; onde ebbe a dire un critico tedesco che non avrebbe coraggio di giurare che un palmo solo di pittura leonardesca sia arrivato fino a noi veramente intatta.

Rimane fortunatamente un'opera sulla quale, quanto ad autenticità originaria, non può cadere dubbio, benchè sia ridotta anch'essa in così misero stato che fa veramente pietà. Voglio dire il Cenacolo, che Leonardo dipinse nel refettorio di Santa Maria delle Grazie. Anche così malconcio, anche in quel suo stato quasi pauroso di larva in cui ora lo vediamo, esso ferma i nostri occhi, conquide il nostro animo, ci costringe a chinare la fronte. Pensate! Esso è la riprova ancora vivente, la riprova sintetica, eloquentissima della verità ed efficacia di tutte le dottrine che intorno all'arte Leonardo era andato predicando e praticando. Pensate ancora quanti artisti si sono cimentati in questo dramma intimo e sacro, la cena ultima di Gesù Cristo coi suoi discepoli!... I più dei pittori scelsero quel momento in cui Cristo offre ai suoi discepoli e all'umanità tutto sè stesso nel pane e nel vino. Leonardo preferì invece di cogliere [325] un momento meno mistico ma più naturale; e talmente naturale che noi, senza mancare di riverenza ad alcuno, possiamo anche considerare quella sua rappresentazione come una scena puramente umana. Si tratta in sostanza d'un maestro che ha raccolto intorno a sè i suoi discepoli più fidi, mentre ingrossano i tempi e la persecuzione minaccia al di fuori.... Arrivato a un certo punto della cena, a un tratto egli dice: uno di voi mi tradisce. Questa frase, gettata là in mezzo ad animi semplici e devoti, produce come uno scoppio di dramma istantaneo.

Non sono più le immobili figure dei vecchi Cenacoli, colle loro aureole intorno al capo, che assistono misticamente alla mistica consacrazione. Qui abbiamo invece uomini che si sentono feriti nel profondo dell'animo dall'angoscia di sapere che c'è in mezzo ad essi un loro compagno che tradirà l'uomo che vollero seguire a ogni costo, che amano sopra ogni cosa. Non basta: tutti sentono il turbamento e l'irritazione di potersi sapere sospettati di una tanta iniquità. Se guardate a quelle dodici figure d'apostoli, ognuna vi rende questo dramma interiore con una varietà ammirabile. Il volto di Cristo ha una specie di calma costernata. Le sue labbra sono ancora semiaperte, e si capisce che le tristi parole ne sono uscite allora allora; le mani fanno un movimento di tristezza; la calma non è turbata in quel volto divino; ma una lieve increspatura della fronte ci lascia comprendere che la parte umana in lui palpita e si addolora. Tutti gli apostoli alla prima hanno avuto certamente un movimento eccentrico; poi quasi tutte le figure si protendono in avanti verso il maestro. Che varia e potente significazione psicologica in quelle figure e in quei volti! Guardate tutte quelle mani. Ognuna (dando ragione ad un famoso capitolo del Montaigne) ha un significato, un pensiero, un fremito di vita personale. Guardate tutti quei piedi. Visti vagamente sotto la tovaglia, [326] così irrequieti e mossi in vario senso, vi completano l'idea della agitazione espressa dalla parte superiore di quelle dodici figure. Nel mezzo, solo i piedi di Cristo si mostrano queti e composti....

Giovanni nella semplicità amorosa dell'animo suo pare che dica: - Ma questo non è possibile! Di una mostruosità tale niuno di noi può essere capace! - San Pietro allarga violentemente le braccia come porta l'indole sua. È l'uomo che poi tirerà fuori il coltello e taglierà l'orecchio a Malco. Par di sentirlo gridare: - Fuori il nome del traditore! Noi vogliamo saperlo ed esser puri d'ogni sospetto. - Il penultimo degli apostoli, a destra di chi guarda l'affresco, ha un lieve torcimento degli occhi e della bocca e, parlando piano al vicino, fa un accenno.... Si capisce che ha un vago sospetto di Giuda.... Giuda, che incarna la bruttezza del tradimento, si volta repentinamente, come per udire le parole dell'apostolo che parla dietro di lui. Si indovina l'uomo che vorrebbe dissimulare, prendendo un contegno disinvolto; ma intanto con un movimento inconscio del gomito versa la saliera. Il sale si sparge sulla tovaglia e con questo segno sinistro di mal augurio, pare che il triste dramma venga lugubremente suggellato.

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