IV.

Su questa grande parete, Leonardo da Vinci inaugurò la pittura nuova perchè infuse nell'arte la pienezza della vita, rivendicando insieme ad essa la più completa libertà. Lo sentirono i contemporanei; e il Cenacolo fu l'opera che diede più gloria all'artista.

Ma, parlando in genere, se egli ebbe vivendo fama grandissima, possiamo noi anche affermare che riscosse favori corrispondenti al suo merito? Non credo. Chi studia [327] attento la vita di Leonardo, vede un intimo dissidio fra l'arte sua e lo spirito che ormai domina ne' tempi suoi. Nel grande e risolutivo andazzo che andava a prendere, l'arte italiana, la quale era salita su per tutti i gradi della preparazione e della elaborazione, ormai voleva slanciarsi. Tutti quegli artisti, già così forti nella tecnica e così pieni di fantasia, non volevano più stare alle mosse e cercavano novità. Leonardo invece si mantiene fedele all'ideale artistico della sua epoca gloriosa.

Un senso d'inquietudine trae ogni giorno più gli artisti ad un'arte frettolosa, sommaria e decorativa. Anche la Chiesa, presentendo la grande bufera che si approssima, domanda che l'arte si trasformi, che si spinga ad un fare più largo e magniloquente, come per mettere fra sè e i tempi nuovi un antemurale di bellezza spettacolosa che seduca e fermi la fantasia dei popoli. Aggiungete infine che, per la perdita della indipendenza e delle libertà locali, per l'abbassamento della moralità, per l'invasione, l'amalgama e il bastardume delle costumanze straniere, la vita italiana languiva e precipitava; e l'arte, la nostra grande arte, unica energia ormai rimasta in piedi, era costretta a colmare, ma in fretta, tutti questi vuoti, tutte queste voragini; e le vecchie forme pareva che più non bastassero. Ma Leonardo volle resistere a tutte queste correnti, e star fermo all'arte sua coscienziosa, equilibrata e casta, che era in sostanza l'arte del Botticelli e degli altri migliori di quel secolo, inalzata a una maggiore potenza. Egli volle essere, e fu in fatti, l'ultimo dei quattrocentisti e il più grande di tutti. Ma pagò cara questa gloria. Egli fu uno sconfitto, ed uscì dall'arringo come un vinto. Nella sua vita ebbe molti onori, ebbe amplissime lodi; ma però guardate: i periodi della sua vita finiscono sempre in un modo sinistro. Nel suo primo periodo Lorenzo il Magnifico, [328] che è così largo di protezione a tutti, a Leonardo mostra, non dirò il malo animo e quasi l'odio, come colla sua alfierana fantasia ha supposto il Ranalli nella sua preziosa storia delle belle arti; ma, insomma, Lorenzo il Magnifico non tiene molto conto di Leonardo, e quando il Moro da Milano glielo chiede (se è vero che glielo chiedesse) Lorenzo lo concede volentieri, perchè tra le altre cose l'indole strana, fiera di Leonardo non era probabilmente fatta per gratificarsi l'animo di un principe che, per quanto liberale si fosse, amava però di vedere ricambiata la magnificenza del suo mecenatismo con molta sottomissione e sopra tutto con l'essere richiesto di consiglio. Voi sapete che Lorenzo amava d'andare sopra i lavori degli artisti e proverbiarli e correggerli. Diceva per esempio al giovane Michelangiolo: “Cava un dente a quel vecchio satiro„, e Michelangiolo lo cavava docile. Chi sa se Leonardo avrebbe avuto così pronta arrendevolezza?... Io molto ne dubito; e penso che per questo egli non potè mai entrare appieno nelle grazie del Magnifico. Il suo secondo periodo è il più brillante. Alla corte del Moro egli è riconosciuto, carezzato, festeggiato; ma in sostanza l'utile fruttuoso pare che fosse scarso, se dobbiamo rilevarlo da un frammento di lettera in cui dice, in sostanza, al Moro: - Con tutti questi onori, con tutte queste commissioni io non cavo da vivere, non mi sono avanzato nemmeno quindici lire. - E il frammento chiude con una frase tristissima: “Io non voglio mutare la mia arte.„ Quanta differenza, o signore, tra questa umile e sconsolata lettera e la lettera piena d'onesta baldanza con cui Leonardo si faceva precedere nella sua andata a Milano! Allora egli diceva al duca: - Io so fare questo e questo; tutto ciò che gli altri fanno io lo faccio, e, sia chi voglia, meglio di loro. Mettetemi alla prova! - Anche questo periodo adunque, principiato bene, si chiude con una sconfitta. [329] Leonardo dopo va errando prima agli stipendi del Valentino, poi a Firenze col Soderini. Si cimenta con Michelangiolo ed è molto onorato, perchè in questa gara di due giganti, nessuno ha il coraggio di decidere quale sia il perdente e quale il vincitore. Ma poi, allor che si viene alla esecuzione del cartone celebratissimo, nascono subito dei guai e delle contese; e noi vediamo il Soderini che comincia a non lodarsi più di Leonardo, e Leonardo che comincia a trattar male il Soderini. Insomma, anche quando è fortunato, Leonardo non consegue mai quella specie di alto dominio che esercitarono altri artisti, certamente grandi, ma forse non più grandi di lui, come Michelangiolo, come Raffaello; artisti davanti ai quali i principi e i papi stavano trepidanti, e mandavano delle legazioni per risolvere questioni sorte fra loro, e non avevano pace finchè non li vedevano attratti di nuovo nell'orbita del loro principato.

Tantochè Leonardo da Vinci negli ultimi anni è costretto ad espatriare; e, bisogna confessarlo, trovò sorte più lieta e più benigno mecenatismo in Francia che in Italia. Questo mi pare che risulti evidentemente dalla sua vita. Come già era stato liberalmente protetto da Luigi XII, fu liberalmente ospitato ed onorato, secondo i meriti suoi, da Francesco I, questo re che non fu certo un modello di buon costume, ma che col suo spirito cavalleresco seppe tanto bene farsi perdonare i difetti; e che noi dobbiamo ricordare con gratitudine. Fatto è che per invito suo Leonardo da Vinci col suo caro alunno Francesco Melzi, col suo fedele Salai va in Francia. Oltre una pensione di 700 scudi d'oro, il Re gli alloga il castello a Cloux presso Amboise; e là può il grande italiano spendere finalmente i suoi ultimi anni di vita nella perfetta quiete dell'animo e darsi intero e libero alle occupazioni predilette del suo spirito.

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In Francia Leonardo da Vinci finisce i suoi giorni e li finisce pacifico e riconciliato con tutti. Se lo avevano accusato di poca reverenza verso gli antichi, egli aveva già ordinato al Platina di fargli un epitaffio in cui dice: “Io studiai gli antichi ma non potei però raggiungere la loro divina simmetria. Feci quello che potei. O posterità, siimi indulgente! Veniam da mihi, posteritas.„ E muore riconciliato colla Chiesa, con la quale, a detta del Vasari, non fu sempre in troppo buoni termini; e nel suo testamento raccomanda l'anima sua a Dio, alla Vergine e a non so quanti altri santi del Calendario. Muore riconciliato colla famiglia verso la quale aveva avuto delle liti non piccole per causa di eredità, lasciando ai suoi fratelli 400 scudi che teneva sopra un banco fiorentino.

È cosa singolare, o signore! Finalmente nel suo testamento noi incontriamo un nome di donna. Ma che i romanzieri e i poeti non si esaltino. Non si tratta della Giulia Gallerani nè della Cecilia Crivelli, nè della Lisa del Giocondo, nè della bella Ferroniera; si tratta di una certa Maturina, a cui lascia un po' di denaro e un po' di roba in cambio dei buoni servigi ch'essa gli aveva reso. È dunque il caso d'una povera serva, per giunta forse vecchia e brutta. Ecco l'unico episodio femminile, se così si può chiamare, di quest'uomo che aveva versato nelle sue tele tutte le più squisite e poetiche suggestioni dell'amore. E a me non dispiace. In fondo quella povera vecchia avrà dato all'artista, tanto combattuto e tanto travagliato, gioie e servizi umili ma preziosi, che i potenti coi loro favori, spesso in mal punto dati e sgarbatamente tolti, non gli avevano procurato mai. Lo avrà scaldato negli inverni rigidi di Cloux, gli avrà preparato il desinare, lo avrà curato, confortato, e colle sue goffaggini e facezie di vecchia serva, qualche volta forse anche rallegrato nelle ore più tristi della infermità e [331] del tedio. E allorchè il vecchio pittore sarà morto, non Francesco primo re di Francia e Navarra, come dice la favola, ma lei, lei, questa povera vecchia avrà chiusi quegli occhi che avevano veduto tante meraviglie.... Che importa? Essa glieli avrà chiusi con quel senso di schietta pietà che quaggiù inalza tutti ad un modo, perchè è l'unico attributo, o signore, divinamente dato alla nostra umanità.

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