II.

Fu ordinato prete nel '54; e, quando si condonino ai tempi licenziosi e all'indole di lui, nato piuttosto per la famiglia che per la chiesa, gli amori sentiti nell'animo o cantati nel verso più spesso che esercitati nella vita, fu prete buono. E cristiano fu sempre dal profondo dell'animo nell'alta, serena, cosciente, coraggiosa [284] sua fede. Da vecchio, se è vera la fama, non vedendo più il crocifisso nella sala delle adunanze municipali, esclamò: - Dove non entra Cristo, non entra il cittadino Parini! - e contro la prepotenza, l'ingiustizia, il mal costume, si era levato sempre con ardore evangelico. Ad ogni modo, se fu bene o male per lui il farsi prete, nessuno oggi può dire; ma nessuno può dubitare non fosse ciò un bene grande all'arte ed anche alla morale: perchè il Parini laico non avrebbe veduto quanto vide, non avrebbe rappresentato quello che così vivacemente rappresentò, con effetti non vani su' costumi, durevoli sulla poesia, gloriosi a lui ed all'Italia. Quel po' di stima che tra i letterati milanesi gli aveva procacciato due anni innanzi il libretto delle poesie di Ripano Eupilino, nome arcadico allusivo al suo lago, non gli avrebbe infatti schiuso le porte di casa Serbelloni, se egli non fosse stato sacerdote, e per ciò insieme abate di casa e precettore ai duchini; nè dai Serbelloni sarebbe passato educatore in altre case patrizie; nè senza gli agi della vita che gli permisero lo studio e l'esercizio dell'arte, senza l'agevolezza dell'osservare i costumi signorili da presso e smascherati, avrebbe potuto pensare ed eseguire l'elegante e tremenda satira del Giorno.

Il palazzo de' Serbelloni e la vivace e colta [285] duchessa Vittoria Maria, che iniziò il giovine prete alla conoscenza della vita aristocratica, erano tali da mantenerlo per alcun poco nella buona stima che di quella vita egli si fosse fatta giudicandone da lontano per le esterne apparenze. I vizii del secolo e de' signori non gli erano ormai ignoti, non foss'altro per le chiacchiere, i pettegolezzi, le rime de' letterati borghesi amici suoi, per le poesie di canzonatura o d'improperio in che la Musa meneghina si sfogava, per gli ammonimenti che l'eloquenza verbosa e fiorita de' predicatori non si stancava di far rimbombare nelle chiese stuccate e indorate. Ma altro è udire, altro è vedere. Colta, letterata, scrittrice anche per le stampe la duchessa, e alla mano col medico e col precettore; i due cognati Serbelloni erano ufficiali valorosi nelle milizie imperiali; grande la casata, ricca, illustre. Ma il duca marito, da un lato, la duchessa moglie, dall'altro: onde il Parini non seppe mordersi la lingua prima che scossasse per quel contrasto, di cui si occupavano perfino alla corte di Vienna, un pungente epigramma. Valorosi i cognati, ma ozioso e prepotente il duca, che non si voleva veder tra i piedi quel pretonzolo di Bosisio cui Maria Vittoria dava troppa confidenza. Alla mano la duchessa, ma anche manesca. Una volta che, in villa, diede due schiaffi alla figliuola d'un maestro [286] di cappella ch'era là ospite sua, soltanto perchè voleva tornare a Milano, il Parini non ci resse; prese la ragazza e l'accompagnò dove essa voleva. Onde la padrona si disfece di lui. Ed eccolo a Milano, con la vecchia madre vedova, incerto dell'avvenire, così povero nel presente da dover chiedere in rima e in prosa a un amico il prestito di pochi zecchini:

Limosina di messe, Dio sa quando

Io ne potrò toccare, e non c'è un cane

Che mi tolga al mio stato miserando.

La mia povera madre non ha pane

Se non da me, ed io non ho danaro

Da mantenerla almeno per domane.

Miseria e, quel che è più crudele, miseria che doveva celarsi.

Entro ad un libro voi li riponete

Perchè nessuno se n'avvegga, e quello

In una carta poi lo ravvolgete;

Anzi lo assicurate col suggello

O pur con uno spago, e dite poi

Che consegnino a me questo fardello.

Col poscritto in prosa: “Sono senza un quattrino.... Non mostrate a nessuno la mia miseria descritta in questo foglio.„ L'uomo e per ciò il poeta erano ormai compiuti: il dolore matura la coscienza e l'arte.

[287]

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