III.

Il Parini conosceva allora, conobbe da allora in poi sempre più, frequentando come maestro e come letterato le case patrizie, quali erano le occupazioni e gli affetti, e quali i cuori e le menti, di quella gente che aveva un tempo ammirata. La critica cresceva animosa, audace, e batteva in breccia ogni specie d'autorità; la borghesia studiava, lavorava, si arricchiva; e costoro che mai facevano? Studiavano? no; lavoravano? no; si arricchivano almeno col frutto delle ricchezze avite? anzi le sparnazzavano. Che facevano, dunque? Ah, godevano forse quanto il danaro può dar di piacere, tracannando la vita d'orgia in orgia, tumultuosi, ardenti, per iscagliar poi via brutalmente la coppa vuota? o industri, sapienti nelle raffinatezze del vizio, la centellinavano fin all'ultimo sorso, e se la lasciavano esausti cader di mano con l'ultime rose dalla pallida fronte? No. Chi li chiamò Sardanapali fece loro troppo di onore: quel re, in faccia all'invadente nemico, arse in un rogo enorme le sue donne, le sue ricchezze, sè stesso; e fu eroica follia. Nemmeno si può pensare a' Romani [288] dell'Impero decrepito. Que' titolati lombardi altro non erano che le reliquie d'una razza sfibrata, dissanguata, incapace così dell'azione virtuosa come della passione viziosa, mediocri in tutto; vili insomma, e per ciò incapaci di redenzione.

Ai tempi di Renzo e Lucia, v'era ancora qualche gran signore feudale, come l'Innominato, di passioni ardenti; prima quasi un demonio, poi quasi un santo, per la medesima energia volta dal male al bene: e vi erano molti signorotti cortigiani, molti Don Rodrighi e Don Attilii, che per cavarsi un gusto, per sodisfare un puntiglio, non badavano a far vituperii e violenze, sebbene si appiattassero dietro la forza dell'Innominato o l'autorità del Conte zio. Un secolo e mezzo dopo, la Lombardia non aveva più nessun Innominato, aveva molti nipoti dei Don Rodrighi e Don Attilii; quei tirannucoli, nipotini in parrucca e con lo spadino, buoni soltanto a menar amori illeciti, tacitamente consenzienti i mariti.

E il Parini che prima ne ha sorpreso a caso qualche smorfia mendace, qualche sorriso verace, li sorveglia ora con occhio acuto, da moralista e da satirico, ne coglie le fattezze tipiche, penetra fino all'intimo la loro ignavia e stoltezza. L'han fatto aspettare più volte nelle anticamere, e dopo il lungo indugio finchè il giovin signore non si [289] svegliasse, si è visto passare innanzi il maestro di ballo, di canto, di violino: da loro ha saputo che le lezioni saran brevi, perchè van là soltanto a ragguagliare su' discorsi che corrono ne' palcoscenici. È stato ammesso, e ha trovato il contino o il duchino davanti allo specchio, col parrucchiere affaccendato su lui alla più grande opera di tutta la giornata, la pettinatura; e lo ha visto mordersi i labbri impaziente, o furibondo talora rovesciar tutto e dire improperii e minacciar del bastone il lento o mal destro artista del pettine. Finalmente ha potuto parlargli, e ha misurata la profondità della sua saccente ignoranza. Oppure gli ha dovuto far tanto di cappello mentre passava leggiadretto e superbo per recarsi dalla dama altrui che si onorava di servire.

Il Parini inchinato dalla natura alle dolcezze della famiglia, il Parini prete cristiano, il Parini artista arguto, quanto dovè pensare e sorridere e indignarsi, fatto spettatore di quelle strane regole di civiltà onde parean quasi ridicoli il marito e la moglie che fossero stretti di convivenza affettuosa! Durante la mattina, la moglie era delle cameriere, poi de' corteggiatori intorno alla toilette, poi del cavalier servente: la mensa, che nella vita sana di chi lavora ed ama è ritrovo, è riposo, è agio concesso allo scambio [290] delle idee, sì che insieme con le membra l'anima vi si ciba e vi si afforza al bene, la mensa allontanava anche più l'un dall'altra il marito e la moglie.

......... Se a un marito alcuna

D'anima generosa ombra rimane,

Ad altra mensa il piè rivolga, e d'altra

Dama al fianco si assida, il cui marito

Pranzi altrove lontan, d'un'altra al fianco

Che lungi abbia lo sposo; e così nuove

Anella intrecci a la catena immensa

Onde, alternando, Amor l'anime avvince.

Durante il pranzo, l'arguto abate studiava ancora gli amori, le gelosie, le sfacciataggini, le ipocrisie, le stranezze degli ospiti e de' compagni: ascoltava il racconto che la signora faceva, con le lacrime agli occhi, della pedata onde il piè villano d'un servitore remunerò il carezzevole morso della sua Cuccia, e della giusta vendetta ch'ella ne prese cacciandolo; sorrideva all'ostentata scienza di quello, agli spropositi madornali di questo; ammirava la cecità de' mariti, la vanità de' cavalieri serventi, la petulanza de' parassiti, la sciocca corruttela di tutti costoro. E quando ora tornava al Corso, e guardava nelle trionfali carrozze i gentiluomini e gli arricchiti di fresco che tentavano immischiarsi tra loro, ben poteva esclamare in cuor suo: Maschere, vi conosco!

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