IV

Tutto questo contribuí di certo non poco ad affrettare la venuta dell'imperatore Federico I in Toscana, dove lo troviamo infatti nel 1185, con animo deliberato a sottomettere il paese. Venne però senza un esercito, fidando nell'autorità dell'Impero, nella sua propria accortezza e reputazione. Credeva di poter riuscire ne' suoi intenti, staccando da Firenze alcune delle città toscane, riducendole a favorire contro di essa l'Impero. Faceva soprattutto assegnamento su Pistoia, che si trovava fra Lucca e Firenze, nemica d'ambedue; su Pisa, che con larghe concessioni sperava di poter ricondurre al partito imperiale, cui essa aveva piú volte aderito in passato. E ciò gli appariva anche piú facile quando, arrivato a San Miniato nella state del 1185, molti dei nobili del contado vennero ad ossequiarlo, levando alti lamenti contro le città libere che li opprimevano. Il 25 di luglio liberò dalla giurisdizione di Lucca molti di loro, ed alcune terre ad essa sottostanti. Il 31 dello stesso mese entrò in Firenze, ed anche ora fu circondato dai nobili del contado, i quali, scrive il Villani, amaramente si dolevano contro la Città, «che aveva occupato i loro castelli, a grande dispregio dell'Impero». E qui i cronisti affermano che Federico tolse a Firenze la giurisdizione sul proprio contado, fino alle mura; anzi la stessa deliberazione egli avrebbe, secondo essi, presa per tutte quante le città toscane, salvo Pisa e Pistoia. Ma su di ciò è sorta grave disputa, non volendo molti prestar fede alla possibilità di un tal fatto, il quale non trova conferma in nessun documento. Altri invece ne vorrebbero vedere la prova in un altro fatto posteriore, che non solo è narrato da parecchi cronisti, ma è anche confermato dai documenti.

Ed in vero, con un diploma che ha la data del 24 giugno 1187, Errico VI, in premio, esso diceva, dei servigi resi dai Fiorentini a suo padre ed a lui stesso, concedette loro la giurisdizione nella Città e nel contado, fino ad un miglio dalla parte di Fiesole, a tre verso Settimo e Campi, a dieci in tutto il resto. Anche in cosí ristretti confini, però, i nobili ed i militi dovevano restare indipendenti dalla Città. In riconoscenza di questa liberalità dell'Impero, i Fiorentini dovevano ogni anno dare ad esso un buono sciamito, bonum examitum . Simili concessioni, limitate del pari, furono fatte ad altre città. Si disse perciò: - se Errico restituí ai Fiorentini la giurisdizione, è chiaro che essa era stata loro tolta dal padre. Noi sappiamo infatti che Federico mise in tutta Toscana Podestà imperiali, che presero nome dalle città. - E andando di questo passo, s'arrivò anche a voler vedere Firenze privata della sua propria giurisdizione fin dentro le mura. Se non che, il diploma d'Errico non parla di restituzione, parla solo di liberalità usata in premio dei servigi resi dai Fiorentini, i quali servigi non si sa in verità quali possano essere stati. È probabilmente un modo di dire, giacché simili concessioni furono da lui fatte a molte città. Da un altro lato riesce assai difficile credere che Firenze, la quale, quando era tanto piú debole, aveva osato combattere a mano armata i messi dell'Impero, uccidendo Rabodo, ponendo in fuga Cristiano di Magonza, potesse, quando si trovava tanto piú forte, alla testa di tutta Toscana, lasciarsi, senza alcuna resistenza, privare della propria giurisdizione in tutto il contado e fin dentro le mura. Oltre di ciò, la esistenza de' suoi Consoli in questi medesimi anni, non par dubbia, il che farebbe senz'altro crollare l'ipotesi di Podestà imperiali dentro la Città. Infatti nel 1184, i documenti ci dànno i nomi dei Consoli. Nei tre anni successivi, è vero, ce li dà solo il pseudo Brunetto Latini; ma è difficile supporre che egli li abbia tutti inventati, o che siasi per tre volte consecutive ingannato. Ed anche in questo triennio, se i documenti non ci dànno nomi di Consoli, indirettamente però accennano di continuo alla loro esistenza.

Bisogna, io credo, cominciare dal riconoscere, che, secondo le idee e la politica di Federico I, il suo diritto d'esercitare giurisdizione nella Toscana, non era disputabile; che se le città l'avevano di fatto esercitata, senza una speciale concessione, esse avevano violato i diritti dell'Impero, il quale poteva, anzi doveva riprenderli. Perciò egli aveva mandato Rainaldo e Cristiano a mettere per tutto suoi Podestà, a far tornare le cose in quello che per lui era il solo stato legale e normale. Se non che, la difficoltà qui non stava nel provare il suo diritto, secondo la teoria imperiale; stava invece nel farlo valere. Era una quistione di fatto, che solamente la forza poteva risolvere. I Podestà imperiali, come noi abbiamo già visto, furono per tutto istituiti; ma se nel contado riuscirono ad ottenere obbedienza, non senza contrasto e parzialmente, nelle città piú grosse, invece, massime a Firenze, non riuscirono punto. I Potestates Florentiae o Florentinorum, come di Siena o dei Senesi, e simili, che noi incontriamo assai di frequente, son quasi sempre, e per Firenze può dirsi addirittura sempre, Podestà imperiali, messi nel contado, di cui disputavano la giurisdizione ai Consoli. Or siccome pel Comune il contado era suo proprio territorio, e voleva perciò comandarvi; per l'Impero, invece, il contado doveva, insieme con la Città, essere sottoposto ai Podestà imperiali, cosí ne seguiva naturalmente che essi venivano da tutti chiamati Podestà di Firenze o dei Fiorentini, e per le stesse ragioni, Podestà di Siena o dei Senesi, d'Arezzo o degli Aretini, ecc. Nel fatto però, essi non solamente non riuscivano a comandare dentro le mura delle grosse città, ma nel contado stesso erano in conflitto continuo con l'autorità dei Consoli, ed abbiamo già visto quanta confusione ne nascesse. È tuttavia assai naturale il credere, che, con la venuta di Federico I in Toscana, l'autorità di questi Podestà dovesse immensamente crescere, e che, per qualche tempo almeno, riuscissero davvero ad esercitare la propria giurisdizione in tutto il contado, fin sotto alle mura delle città. Questo fece dire ai cronisti, che l'Imperatore aveva tolto a Firenze il contado. È certo però, che quando egli partí, le cose tornarono subito nello stato di prima; i Consoli cioè continuarono a rendere ovunque, piú che potevano, vana l'opera e l'autorità degli ufficiali imperiali. Il sorgere dei Comuni aveva creato un nuovo stato di cose, del quale l'Impero poteva non ammettere il valore legale, ma che non aveva poi la forza di distruggere. Questo fu che indusse finalmente Errico a riconoscere in parte, e sotto forma di liberale elargizione, lo stato di fatto, che egli sperava cosí di potere almeno circoscrivere entro limiti determinati.

E veramente, col diploma 1187, egli concedeva ai Fiorentini meno assai di quanto essi già da un pezzo possedevano. Se infatti il territorio del Comune non avesse dovuto estendersi piú d'un miglio dalla parte di Fiesole, ne sarebbe rimasta fuori questa città, già sottomessa con le armi, insieme con tutto il suo contado, il quale sin dal 1125 faceva parte del territorio fiorentino, come era stato sempre nei trattati riconosciuto. E quasi ciò non bastasse, anche in sí angusti confini, Errico dichiarava esenti dalla giurisdizione della Città tutti i nobili, cioè anche quelli che ad essa si erano legalmente e solennemente sottomessi. Ma, ciò non ostante, a Firenze conveniva d'accettare la concessione imperiale. Lo stato di fatto sarebbe rimasto quale era, essa avrebbe cioè continuato sempre a comandare ed a prendere piú che poteva. Il cronista Paolino Pieri, nel ricordare questa concessione, dice che i Fiorentini riebbero il contado, «cioè che si ritolsero,» espressione con la quale inconsapevolmente egli manifesta la vera condizione delle cose. Intanto l'Impero cedeva nel punto di diritto, riconoscendo la giurisdizione dei Consoli nella Città ed in una parte del contado. Il resto sarebbe stato in avvenire, come pel passato, risoluto dalla forza. A noi pare che tutto ciò ponga in chiaro le cose, e spieghi ancora le inesattezze e la confusione dei cronisti, i quali, non sapendo distinguere la questione di fatto da quella di diritto, mescolarono di continuo l'una con l'altra. E veramente non era agevole distinguerle, quando di fronte al fatto stavano due, anzi tre diritti, ognuno dei quali non riconosceva gli altri: il diritto cioè dell'Impero, quello del Comune e quello finalmente del Papa, che ripeteva sempre, quantunque sempre invano, che la Chiesa era l'erede di Matilde.

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