CAPITOLO VIII.

Delle costituzioni de' Principi.

Se grande era il numero de' libri de' Giureconsulti, non minore poi apparve l'ampiezza delle costituzioni de' Principi: tanto che vennero a farsi delle medesime più compilazioni, e Codici. E quindi tutto il corpo delle leggi si vide ridotto a queste due somme parti: cioè a' libri de' Giureconsulti, per li quali poi se ne compilarono dal nostro Giustiniano le Pandette: ed alle costituzioni de' Principi, onde ne sorsero le compilazioni di più Codici, e le molte collazioni per le costituzioni Novelle; e ciò oltre alle Instituzioni, che solamente per istruire la gioventù, vaga dello studio legale, furono compilate. E poichè la narrazione di questi fatti n'ha trattenuti più di ciò, che per avventura non richiedeva una general contezza, convien ora, che con ugual diligenza facciam altresì distinta memoria delle costituzioni di que' Principi, che prima di Costantino regnarono nella floridezza della romana giurisprudenza: con che si renderà ancora di più chiara intelligenza quel che avrà a dirsi nel proseguimento di quest'Istoria.

Approvato che fu dal Popolo romano il Principato, come alla Repubblica più salubre ed espediente (neque enim, dice Dione, fieri poterat, ut sub populi Imperio ea diutius esset incolumis) tutta quella potestà, che teneva egli in promulgar le leggi, fu trasferita al Principe, niente in sostanza presso di se rimanendo; imperocchè il sentimento d'alcuni, che credettero il Popolo romano non essersi spogliato della sua autorità, ma che solamente al Principe l'avesse comunicata, è un errore così conosciuto, e da valentissimi Scrittori dimostrato, che stimeremmo, oltre d'esser fuori del nostro istituto, abbondar d'ozio a volerlo qui confutare. E somma simplicità certamente sarebbe darsi a credere, che il Popolo romano non si fosse, o non fosse stato affatto spogliato di quella potestà, solamente perchè gl'Imperadori romani si fossero astenuti de' nomi di Re, e di Signore. Fu questo un tratto di fina politica; poichè conoscendo esser questi nomi al Popolo odiosi, mostraron anch'essi d'abbominargli; e di vantaggio per non introdurre nella Repubblica in un tratto nuova forma totalmente diversa, vollero ritenere i medesimi Magistrati, e l'istesse solennità de' Comizj, e del Senato: ma in sostanza sotto queste speziose apparenze esercitavano la piena potestà regia, come ce n'accertano Alessandrino, e Dione il qual dice: Haec omnia eo fere tempore ita sunt instituta: at re ipsa Caesar unus in omnibus rebus plenum erat imperium habiturus; soggiungendo più innanzi: Hoc pacto omne populi, Senatusque imperium ad Augustum rediit. E molto meno doveano cadere in quest'errore, perciocchè al Popolo rimanesse quella immaginaria e vana ragione di dare gli suffragj, o quella precaria e finta autorità del Senato nello stabilir le leggi; poichè in questi tempi erano ancor rimasi, come savissimamente dice Tacito, vestigia morientis libertatis; onde con verità, del Popolo romano parlando, disse Giovenale, che colui, il quale innanzi dava l'Imperio, i fasci, le legioni, e tutto, nei suoi giorni solamente due cose ardentemente desiderava, Panem et Circenses.

Egli è però vero che procurando gl'Imperadori di mantener quella medesima apparenza di Repubblica, s'usurparono non in un tratto, ma a poco a poco la sovranità di quella; e che nel corso di molt'anni si renderono da poi veri Monarchi; poichè il Senato romano dopo le guerre civili, avendo, sia per timore o per lusinga, conferito a Giulio Cesare il nome d'Imperadore, questo soprannome o titolo d'onore fu continuato in appresso da Augusto, e poi da' suoi successori, che lo trovarono molto acconcio a' loro disegni, prendendolo a doppio senso in cumulando e giungendo insieme le sue due significazioni, la cui prima attribuiva loro il puro comandamento in ultimo grado, quale è il comando militare d'un General d'armata, e l'altro rendeva la lor carica perpetua e continua in tutti i luoghi; la qual cosa non era degli altri uffici, della Repubblica romana. E benchè nel cominciamento quest'Imperadori facessero sembiante di contentarsi del comando militare libero ed esente dalle forme, alle quali i Magistrati ordinari eran astretti, con soggezione alla sovranità della Repubblica; nondimeno essi comandavan assolutamente, e disponevano della Repubblica come loro piaceva, per la qual cosa Svetonio chiamava la loro dominazione speciem principatus .

Se tanta autorità dunque aveansi usurpata i primi Imperadori, allorchè nella languente Repubblica conservavansi ancora reliquie d'antica libertà: essendo poi di questa a poco a poco ogni immagine affatto svanita, non si può dubitare che gl'Imperadori seguenti, di veri Monarchi, e di Sovrani Principi il carattere e l'assoluta potestà independentemente non esercitassero; e più quelli, che ritrovaronsi poscia in Oriente, paese di conquista.

Trasferita per tanto nel Principe questa potestà, ciò che a lui piacque ebbe vigor di legge; ma per accorta politica, chiamaron que' loro ordinamenti, editti o costituzioni, e non leggi, simulando di voler lasciare intatta al popolo la potestà di far le leggi. Queste costituzioni de' Principi non erano d'una medesima spezie, ma si distinguevano dal fine e dall'occasione, che aveva il Principe quando le stabiliva. Alcun eran chiamate Editti; ed era allorchè il Principe per se medesimo si moveva a promulgar qualch'ordine generale per l'utilità ed onestà de' suoi sudditi, indirizzandolo o al Popolo, o a' provinciali, ovvero, ciò che accadeva più frequentemente, al Prefetto del Pretorio. Altr'eran nomate Rescritti, i quali dagl'Imperadori alle domande de' Magistrati, ovvero alle preghiere dei privati s'indirizzavano. Eran ancora di quelle appellate Epistole; ed accadeva quando il Principe rescriveva a' privati, che della loro ragione il richiedeano; e venivan dette eziandio Epistole quelle, che per occasion simile dirizzava egli talora al Senato, a' Consoli, a' Pretori, a' Tribuni, ed a' Prefetti del Pretorio. Vi furono anche di quelle, le quali chiamaronsi Orazioni, indirizzate al Senato, colle quali gl'Imperadori confermavano i senatusconsulti; e sovente si scrivevano anche a richiesta del Senato, o del Senato e del Popolo insieme. Costituzioni parimente si dissero i Decreti, che si profferivano su gli atti fabbricati nel concistoro del Principe; ed era quando il Principe stesso conoscendo della causa, intese le parti, profferiva il decreto. Fu questo lodevol costume degl'Imperadori non abbastanza commendato da tutti gli Scrittori dell'Istoria Augusta, e molti esempi n'abbiamo nel Codice di Teodosio, siccome altresì uno molto elegante nelle Pandette di Giustiniano. E questi decreti, ancorchè interposti in causa particolare, per la dignità ed eminente grado di chi gli profferiva, avean in simiglianti casi forza e vigor di legge.

Si leggono ancora nel codice Teodosiano alcune costituzioni appellate Prammatiche, promulgate in occasione di domande venute da qualche provincia, città, o collegio; ed il Principe comandava ciò che credea convenire; nelle quali quando ordinava doversi far qualche cosa, chiamavansi Jussiones, quando si proibiva, e vietava di farsi, eran dette Sanctiones. Ve n'eran in fine dell'altre, che si dissero Mandati de' Principi, ed erano per lo più alcuni ordinamenti dirizzati a' Rettori delle province, a' Censitori, Inspettori, Tribuni, e ad alcun'altri Ufficiali, in occasione di qualche particolar loro bisogno, che per bene e quiete della provincia richiedeva spezial providenza; de' quali mandati nel Codice di Teodosio se ne ha un titolo intero.

Tutta questa sorte di costituzioni, delle quali ne sono pieni i Codici di Teodosio e di Giustiniano, a tre spezie furon da Ulpiano ristrette; a gli Editti, ai Decreti, ed all'Epistole; ciò che volle anche far Giustiniano, quando a queste tre parimente le restrinse.

Fu veramente cosa di somma maraviglia, che fra quelli romani Imperadori, che ressero l'Imperio fino a Costantino, essendovi stati alcuni iniqui, crudeli, e più tosto mostri sotto spezie umana, come Nerone, Domiziano, Commodo, Eliogabalo, Caracalla, ed altri; le loro costituzioni nondimeno ugualmente splendessero di saviezza, di giustizia e di gravità: tutte sagge, tutte prudenti, eleganti, brevi, pesanti, e tutto diverse da quelle, che da Costantino, e dagli altri suoi successori furon da poi promulgate, convenienti più tosto ad Oratori, che a Principi. Il che non altronde derivò, se non da quel buon costume, ch'ebbero di valersi nel loro stabilimento dell'opera di celebri Giureconsulti, senza il consiglio de' quali così nell'amministrazione della Repubblica, come in tutte l'altre cose più gravi, niente si facea. Per questa ragione dee presso di noi esser in maggior pregio il Codice di Giustiniano, che quello di Teodosio; imperocchè Giustiniano compilò il suo anche delle costituzioni degl'Imperadori avanti Costantino, ciò che non fece Teodosio, che solamente volle raccorre quelle de' Principi, che da Costantino M. infino al suo tempo regnarono. E per questa ragione parimente osserviamo, che alcune costituzioni, delle quali i Giureconsulti fanno menzione nelle Pandette, si trovano nel Codice di Giustiniano, ma non già possono leggersi in quello di Teodosio.

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