De' Giureconsulti, e loro libri; e dell'Accademia di Roma.
Quantunque la giurisprudenza de' Romani per la nuova divisione dell'Imperio, per la nuova disposizione degli Ufficiali, e per la nuova politia, e religione in esso introdotta, prendesse altri aspetti e nuove forme, non può nulladimeno dubitarsi, che la cagione del suo cambiamento e della sua declinazione, non in gran parte fosse anche stata la perduta antica disciplina, e la mancanza d'una buona educazione ne' giovani: mancata dunque la disciplina, e l'educazione, si videro i giovani dati in braccio a' lussi, a' frequenti conviti, alle delicatezze, a' giuochi, ed alle meretrici, siccome di questo secolo appunto si doleva Ammiano Marcellino: onde non potè certamente produrre que' incorrotti e gravi Magistrati, quei saggi e prudenti Giureconsulti, gli Africani, i Marcelli, i Papiniani, i Paoli, ed i tant'altri insigni e rinomati, che ne' preceduti secoli fiorirono. L'opera de' Giureconsulti, che ne' tempi di Costantino, e de' suoi figliuoli, a que' primi lumi succederono (essendovi tra essi stato un certo Innocenzio cotanto da Eunapio celebrato, Anatolio, ed alcuni altri d'oscuro nome) non si raggirava in altro, se non ad insegnare ed esporre nell'Accademie ciò, che da que' preclari ed incomparabili Spiriti trovavasi scritto, e di raccogliere, comentare, e a miglior lezione ridurre i loro libri. Ed essendo mancato l'uso dell'interpretazione, e de' responsi, e ridotto l'esercizio de' Giureconsulti a due cose solamente, cioè all'insegnare nell'Accademie, e all'arringare, o scrivere per le liti nel Foro, che tratto tratto cominciò a farsi per danajo contra l'antica legge Cincia: si ridusse il mestiere in questi tempi a tal vilipendio, che alla fine divenne arte di liberti. Perciò Mamertino soleva compiangere questa perduta dignità della giurisprudenza, anche prima di Giuliano, ed amaramente dolersi, e dire: Juriscivilis scientia, quae, Manlios, Scaevolas, Servios in amplissimum gradum dignitatis extulerat, libertorum artificium dicebatur. Presso a Fozio si legge, che Asterio Vescovo di Amasea, che visse intorno l'anno 400, raccontava esser egli stato discepolo d'un certo Scita servo comprato da un cittadino d'Antiochia, che pubblicamente professava giurisprudenza; quando presso agli antichi Romani l'esercizio degli Oratori, o Padroni delle cause, che erano gli Avvocati parlanti, era sì onorevole, che i Senatori romani, e gli altri personaggi grandi vi menavan la lor giovanezza: parimenti era il principal modo nello stato popolare di giungere alle cariche grandi, poichè difendendo le cause gratuitamente, siccom'essi facevano, obbligavano strettamente molte persone, ed acquistavano per conseguenza un gran numero di clienti, e quindi un grandissimo rispetto ed autorità fra il Popolo, che lor importava molto per conseguire i grandi Ufficj. S'aggiungea, che coloro, che sapevan ben arringare, avean un gran vantaggio nell'assemblee del Popolo, il quale si mena volentieri per l'orecchie: onde avviene che nello Stato popolare gli Avvocati sono ordinariamente quegli, che hanno più potenza od autorità; ma sotto gl'Imperatori l'autorità degli Avvocati fu assai diminuita, come dice l'Autore del Dialogo de Oratoribus, attribuito a Tacito, perciocchè il favor popolare non serviva più a niente per ottener le grandi cariche, ed allora fu, che non potendo più esser ricompensati, se non con danari, divennero per tanto mercenarj; gli Imperadori però non volendogli affatto abbassare, gli ridussero in Milizia, attribuendo loro in conseguenza tutti que' belli privilegi, che avevan i soldati, ed ancora altri particolari, spezialmente questo, che dopo aver esercitata la loro carica per lo spazio di 29 anni, divenissero Conti. Ma se tanto abbassamento si fosse solamente veduto ne' Giureconsulti, sarebbe stato più comportabile; penetrò egli nell'Accademie ancora, e ne' Tribunali.
L'Accademia di Roma erasi per l'ignoranza e viltà de' Professori, e per le dissolutezze degli Scolari ridotta a tal lagrimevole stato, che Valentiniano il Vecchio, perchè non fosse affatto estinta, fu neccessitato nell'anno 370, essendo in Treveri, promulgare una ben lunga costituzione, che dirizzò ad Olibrio Prefetto della città di Roma, nella quale XI leggi accademiche stabilì, dando riparo a molti abusi in quella introdotti. Volle primieramente, che gli Scolari, i quali dalle province dell'Imperio andavan a Roma per istudiare, portassero lettere dimissoriali spedite da' Rettori, ovvero da' Consolari, Correttori, o Presidi di quelle province donde partivano, nelle quali lettere si esprimesse la loro patria, i loro natali, ed i meriti e la dignità de' loro progenitori, e della loro razza.
Per II ordinò, che giunti in Roma dovessero presentar queste lettere al Maestro del Censo, ed a' Censuali; III che questi Ufficiali avesser il pensiero subito che gli Scolari eran entrati in Roma, di domandar loro a quale professione intendevan applicare, se all'eloquenza romana o greca, ovvero se volessero attendere a' più profondi studj, come della filosofia, o giurisprudenza; IV che fosse cura e pensiero de' medesimi Ufficiali assegnare agli Studenti gli Ospizj in luoghi lontani e remoti da ogni disonestà; V che dovessero invigilare a' lor andamenti, e star tutt'accorti per allontanargli dalle prave conversazioni, molto per la gioventù pericolose; VI proibì Valentiniano a' medesimi Scolari la troppa frequenza de' pubblici spettacoli, dando riparo con ciò a quegli abusi, che Ammiano Marcellino si doleva d'essers'introdotti per questi giovani, che consumavan il tempo in continui lussi, in amoreggiamenti, ed in frequenti spettacoli, come corruttela di costumi, e cagione d'allontanarsi dagli studj; VII proibì loro parimente gl'intempestivi e frequenti conviti, ne' quali solevan per gran parte del giorno e della notte menar l'ore in crapule, e tra mille licenziosi ragionamenti; VIII che quegli Scolari, che contro queste leggi menassero vita licenziosa, e indegnamente si portassero, dovessero severamente punirsi, con battergli pubblicamente, indi scacciargli dalla città, e fargli imbarcare, per mandargli donde eran venuti; IX stabilì il tempo de' loro studj: che il ventesimo anno della loro età sia il fine di quelli, quando prima ne' tempi di Diocleziano era nell'età di 25 anni, e che cinque anni dovessero impiegare a' studj più gravi: siccome della giurisprudenza particolarmente, stabilì ancora il nostro Giustiniano; X ordinò, che si dovessero in un libro notare i nomi degli studiosi in ciascun mese, quali essi fossero, e donde venissero, per sapersi quanto tempo eran dimorati in Roma, ed il tempo ancora de' loro studj: ciò che ancora oggi noi diciamo Matricolarsi, e descriversi nella Matricola; XI Valentiniano stabilì, che dovesse ogn'anno mandarsi a lui la Matricola, per conoscere quali fossero gli Studiosi in quella descritti, acciocchè secondo il merito ed istituzione di ciascuno potesse egli premiargli, e servirsene nel governo della Repubblica.
Cotanto questo provvido Principe ebbe a cuore l'educazione de' giovani, e la riforma di questa Accademia; tanto che ristorata per queste leggi, potè ne' seguenti anni richiamare a se, e dall'Affrica, e dalla Francia, e dall'altre province occidentali, in gran numero i giovani ad apprender le buone lettere, e la legge civile in Roma, che fu perciò poi detta il domicilio delle leggi.
Si riparò da Valentiniano nel miglior modo che si potè la ruina della giurisprudenza nell'Accademie; ma nel Foro, e ne' Tribunali era pur troppo miserabile lo scempio, e l'aspro governo, che di quella facevasi da' Giudici, e dagli Avvocati. La dappocaggine dei Magistrati, e sovente la loro rapacità ed ambizione, l'ignoranza ancora degli Avvocati, e più la malizia, ed i lor inganni avevan posto in confusione tutte le costituzioni de' Principi, ed i libri de' Giureconsulti.
Da' soli Codici Gregoriano ed Ermogeniano poteva aversi certezza, quando s'allegava qualche costituzione imperiale per la decisione d'alcun litigio, e a quelli si dava tutto il peso e autorità: del resto, tutto era disordine, e confusione. Perocchè da Costantino, e da' suoi successori molte costituzioni eran state promulgate di condizioni varie, appartenenti a diverse regioni de' due Imperj, ed a varj Magistrati, secondo il bisogno indirizzate, e spesse volte fra loro opposte; delle quali prima che da Teodosio il Giovane si fossero in un certo volume raccolte e partite, non s'aveva distinta notizia, e moltissime ne stavan sepolte; onde ciascun allegava, e cacciava fuori quella costituzione, che pareagli condurre alla decision favorevole della sua causa.
De' libri di tanti famosi e celebri Giureconsulti non minor era la confusione ed il disordine. La notizia, che se n'aveva, era assai confusa ed incerta: quale sentenza avesse per la disputazione del Foro acquistata forza di legge, e dovessero i Giudici seguire, era uscito dalla lor memoria; s'allegava indifferentemente, e sovente si recitava un responso all'altro contrario; delle contrarietà de' quali era allora il numero grandissimo, tanto che Giustiniano con tutti i suoi sforzi non potè nella sua Compilazione toglierli affatto. A questa confusione sen'aggiungeva un'altra considerabilissima, che que' Codici, i quali giravano attorno fra le mani degli uomini, non essendo ancor in Europa introdotto l'uso delle stampe, eran per l'incuria de' Librari, e degli Antiquarj, scorrettissimi, e pieni di mille errori.
A riparar tanti danni, che per lungo tempo avevan ne' Tribunali a questo lagrimevole stato ridotta la giurisprudenza, surse alla fine Valentiniano III nell'Occidente, e Teodosio il Giovane nell'Oriente. Questi Principi furono, che cospirando ad un medesimo fine, unirono insieme la lor opera, ed il loro studio, prendendosi ciascuno a riparar per la sua parte mali così gravi: Valentiniano a dar compenso a' disordini, che per la dubbia autorità delle costituzioni de' Principi, e varietà de' libri di Giureconsulti antichi ne seguivano; e Teodosio ad impresa più nobile e generosa accingendosi, alla fabbrica d'un nuovo Codice, ed allo ristabilimento dell'Accademia di Costantinopoli, volse tutti i suoi pensieri.
Valentiniano adunque nell'anno 426 risedendo in Ravenna, dove aveva trasferita la sede dell'Imperio, mandò al Senato di Roma una ben lunga e prolissa orazione, per la quale fra le molte cose, a tutti questi disordini spezialmente diede riparo: parte di questa orazione si legge nel Codice di Teodosio, sotto il tit. de Responsis prudentum, e parte, ancorchè in questo Codice oggi non sia, fu da Giustiniano però inserita nel suo, sotto il tit. de Legibus. In questa parte registrata da Giustiniano dassi la norma, quali costituzioni imperiali, quali rescritti potessero ne' giudicj leggersi ed allegarsi per le decisioni delle cause, e quali fra quelle dovessero appresso i Giudici aver forza e vigore: quali leggi, come generali, dovessero da tutti ugualmente osservarsi, con eccettuarne que' rescritti, che a relazione, e particolar richiesta furono in qualche particolar negozio emanati: che non tutti i rescritti de' Principi, che dalle Parti si producevano nei giudicj, avessero vigore; non quelli, che contro alle disposizioni delle leggi, da' litiganti erano stati estorti; non quegli altri nè meno, che contenevan surrezioni, ed orrezioni, i quali tutti volle, da' Giudici si rifiutassero, e non s'eseguissero.
In quell'altra parte della sua orazione da Teodosio approvata, e nel suo Codice inserita, dassi particolar provvidenza intorno a' libri degli antichi Giureconsulti, che senz'ordine sparsi in questa età erano di non poca confusione.
Volle primieramente, che agli scritti di questi cinque Giureconsulti, cioè di Papiniano, Paolo, Cajo, Ulpiano, e Modestino si prestasse intera fede, ed allegati e ne' giudicj letti, avessero appo i Giudici tutta la forza, e tutta l'autorità per la decisione delle cause. II Che quest'istessa forza avessero le sentenze, ed i trattati di Scevola, di Sabino, di Giuliano, di Marcello, e degli altri G. C., che da que' cinque nelle lor opere fossero stati inseriti, o che da essi si celebrassero. Gli scritti di questi antichi Giureconsulti eran in Occidente allora ancor in essere, se bene nel Regno di Tolosa appo i Goti ne' tempi posteriori fossero dispersi, come testifica l'Interprete su questa costituzione di Valentiniano. In Oriente però si conservarono fino a' tempi di Giustiniano, il quale di questi scritti si valse nella sua compilazione delle Pandette. III Diede le cautele, e la norma in qual maniera i Giudici potessero sicuramente degli scritti di questi G. C. valersi nella decisione delle cause, e come i Causidici dovessero allegargli, cioè, che quelli, che per lo più si portavan attorno inemendati e scorretti, si riscontrassero co' Codici emendati: per le quali correzioni solevan in quest'età, non solamente per li libri di giurisprudenza, ma di tutt'altre professioni, scegliersi uomini i più dotti, ed i più esatti Gramatici di questi tempi; de' quali non altro era la loro cura e studio, se non di ridurre ad una perfetta lezione col confronto de' più esatti ed emendati testi, gli scritti, che correvano per le mani de' Professori. Siccome altresì all'emendazione degli esemplari di Livio, e de' libri della Scrittura Sacra spezialmente, ove le scorrezioni erano più perniziose, furon impiegati uomini avvedutissimi. Di Luciano, testimone dignissimo ne è Suida: ed Ireneo scongiurava il suo libraro per dominum nostrum Jesum Christum, et gloriosum ejus adventum, quo judicaturus est vivos, et mortuos, ut conferat postquam transcripserit, et emendet ad exemplar unde descripsit. L'istessa sollecitudine ebbero Aponio, Girolamo, ed Agostino, i quali non molto si curavano de' ricchi e vistosi Codici, ma tutto il loro studio era d'avergli esatti ed emendati. Cotanto in questi tempi s'invigilava a tal opera, come quella, che riputavasi di somma importanza; poichè da ciò sovente dipendeva la decisione di molte controversie nella Chiesa, e d'infinite cause nel Foro.
Diffinì in oltre Valentiniano, siccome abbiamo anche altrove ricordato, che quando ne' giudicj venivan allegate diverse ed opposte sentenze di questi antichi e famosi Giureconsulti, dovesse il maggior numero degli Autori prevalere, cioè, che le loro sentenze si numerassero, non si pesassero, ed a quello dovesse il Giudice appigliarsi, di che ebbe poi contrario sentimento Giustiniano; ma se il caso portasse, che il numero dell'una parte, e dell'altra fosse uguale, volle che fra tutti soprastasse Papiniano, in guisa che prevalesse quella parte, che dal suo canto trovavasi avere sì illustre Giureconsulto: la qual prerogativa non dovrà sembrar strana per Papiniano, riputato in ogni età il più insigne di tutti gli altri, quando ne' tempi de' nostri avoli si narra, che simile prerogativa per decreto regio fosse stata ancora conceduta a Bartolo per la Spagna e per la Lusitania, se dobbiamo prestar fede a Gio. Batista de Gazalupis, che lo rapporta. Maggiore fu quella di S. Gio. Crisostomo nell'interpretazione delle Scritture Sacre; giacchè nella Chiesa orientale fu per invecchiata consuetudine introdotto, che la di lui interpretazione dovesse preporsi a quanto mai dagli altri Padri della Chiesa si fosse variamente esposto: siccome nell'occidentale di gran peso furono anche le sue interpretazioni; di che ben chiari testimoni posson essere a noi Girolamo, ed Agostino. Di vantaggio stabilì Valentiniano, che se in tutto, e d'autorità, e di numero fossero pari le sentenze allegate, in questo caso al prudente arbitrio del Giudice il tutto si rimettesse, il quale fra se medesimo con giusta bilancia pesando l'opinioni, a quelle dovesse attenersi, che più giuste, e all'equità conformi reputasse.
Per ultimo le note di Paolo, e d'Ulpiano fatte al Corpo di Papiniano lor maestro, rifiutò, e volle che niuna autorità avessero ne' giudicj: ed in questo altresì fu poi differente il sentimento di Giustiniano, il quale non affatto le rifiutò, ma molte, e particolarmente quelle di Paolo, nella compilazione de' Digesti mescolò e ritenne: le Sentenze di Paolo però, ordinò Valentiniano, che sempre valessero, ed avessero ogni autorità e vigore. E di questa costituzione di Valentiniano, e dell'altre simili in questi tempi promulgate, intese Giustiniano, quando disse, ch'era stato ordinato, che le sentenze de' Giureconsulti avessero tanta autorità, sicchè non fosse lecito a' Giudici allontanarsi da' loro responsi, siccome fu anche da noi avvertito nel primo libro di questa Istoria.
Tale fu la providenza di Valentiniano III acciocchè nel Foro si togliessero que' perpetui disordini, e quelle confusioni, che recava la poca notizia delle costituzioni de' Principi, e de' libri de' Giureconsulti: onde fu in Occidente restituita la giurisprudenza, nel miglior modo che fu possibile, a qualche dignità e splendore.
§. I. Dell'Accademia di Costantinopoli.
Ma maggiori furon gli sforzi di Teodosio il Giovane, per ristorare la giurisprudenza in Oriente: egli cominciò dodeci anni prima della fabbrica del suo nuovo Codice a ripararla nell'Accademie. Costantino il Grande fin dall'anno 332 per fornir la città di Costantinopoli di tutto ciò che mai fosse di rado ed eccellente, e per renderla in tutto emula di Roma, aveva posta ogni sua cura e diligenza, ad invitare in quella molti Professori di lettere. Costanzo suo figliuolo verso l'anno 354 l'adornò d'una famosa Biblioteca, onde Temistio perciò il cumulò di tante lodi. Valente nell'anno 372 l'accrebbe grandissimamente, tanto che volle, che alla conservazione della medesima vi fossero sette Antiquarj, quattro greci e tre latini, i quali badassero a comporre i Codici, ed a riparar quelli dal tempo consumati, ed altri Ministri destinò, perchè ne avessero cura e pensiero. Niuno però infino a' tempi di Teodosio il Giovane, pensò a stabilire in questa città un'Accademia, che potesse pareggiar quella di Roma. Teodosio adunque fu colui, che nell'anno 425 pensò di stabilirla: il suo luogo fu il Campidoglio nella regione VIII lontana dal mare, e mediterranea, ricca di molti portici costrutti a questo fine, e fu perciò chiamata Capitolii Auditorium. Acciocchè abbondasse di Professori, e di Scolari, e ritenesse quella dignità e grandezza, ch'egli intendeva di dargli, stabilì, che i Professori non potessero insegnar la gioventù fuori di questo Auditorio nelle private celle, come prima soleva farsi in Roma. Assegnò a quest'Accademia molti Professori secondo la facultà, che dovevan appararsi; e tutti arrivavan al numero di trent'uno. Tre Oratori per la romana eloquenza, e diece Gramatici. Per l'eloquenza greca stabilì cinque Sofisti, e parimente diece Gramatici: onde vent'otto eran coloro, parte Gramatici, parte Oratori e Sofisti, perchè di queste facultà istruissero la gioventù. Per coloro poi, che a più profonde scienze volevan impiegarsi, ne stabilì tre solamente, uno per la filosofia, e per la giurisprudenza due, i quali in essa insegnassero le leggi civili. A' tempi dello stesso Teodosio vi spiegò le leggi Leonzio famoso Giureconsulto, che tra' Legisti fu il primo ad aver l'onore e 'l grado di Conte Palatino: nè mancaron da poi altri celebri Professori, che la renderon chiara ed illustre. A' tempi di Giustiniano professaron quivi giurisprudenza Teotilo, e Cratino, que' medesimi, che chiamati da lui intervennero alla fabbrica dei Digesti.
Nè fu minore in quest'Accademia il concorso dei giovani per apprender legge civile, di quello, che nell'Occidente teneva Roma, e Berito nell'Oriente. E maggiore eziandio si vide, quando da Giustiniano fu vietato all'altre Accademie, come a quella d'Alessandria e di Cesarea, d'esplicar le leggi, non concedendo licenza ad altre, fuorchè nell'Oriente, a quella di Berito, ed a questa di Costantinopoli, e nell'Occidente a quella di Roma.