Libro decimoquinto

I Svevi, Popoli della Germania, che abitarono quella parte di qua del Reno tra la Franconia e la Baviera e la Valle dell'Eno, e da' quali il Ducato di Svevia prese il nome, non vennero a noi a guisa di assalitori, come i Longobardi, o come peregrini, ed a truppe a truppe, come i Normanni; i quali non altro diritto ebbero di conquistarci, se non quello, che lor somministrava la spada, e la ragion della guerra; ma vi comparvero sotto il lor Duca Errico Imperadore, il quale avendo presa in moglie Costanza, ultima del sangue legittimo de' Normanni, portò per successione questi Regni al suo figliuolo Federico. Trae la sua origine questo invitto Eroe da Federico Stauffem di famiglia nobilissima tra' Svevi, e Cavaliero valorosissimo, al quale per la sua nobiltà e valore, non disdegnò l'Imperador Errico IV dare la sua figliuola Agnesa per moglie, e con lei il Ducato di Svevia per dote. È fama che la Svevia ne' tempi antichi fosse Regno, ma che da poi fosse stata ridotta in Ducato; ed a' nostri dì pur perdè questo titolo, poichè ora in Alemagna niun Principe s'adorna del titolo di Svevia; perchè parte è aggiunta alla Casa d'Austria per eredità, e parte ne occupa il Duca di Wirtemberg; e le città che vi sono, molte sono libere ed imperiali, e molte al Duca di Baviera sottoposte. Giunge ella a' gioghi dell'Alpi, ed in parte è recinta da' Boarj, Franconj ed Alsatensi. Da Federico con Agnesa nacque Corrado II Imperadore, da cui nacque Federico I detto Barbarossa, e da costui Errico, il quale, avendosi sposata Costanza figliuola del Re Ruggiero, diede al Mondo Federico II che per retaggio materno, Re di Sicilia e di Puglia divenne. Per questa cagione, fra tutte le Nazioni, vantano i Svevi il più legittimo e giusto titolo sopra questi Reami; ed a ragione si dolsero, che per la potenza e disfavore de' romani Pontefici fossero stati a lor tolti, e trasferiti a' Franzesi della Casa d'Angiò.

Il Pontefice Innocenzio III calcando le medesime pedate de' suoi predecessori, avea per la sua eccellente condotta fatti progressi maravigliosi sopra questi Reami; ed oltre al diritto dell'investiture, pretendeva esser riconosciuto come diretto Signore di quelli, non altramente che gli altri Principi fanno sopra i Feudi de' loro Baroni e Vassalli; ed in conseguenza di ciò esercitare in quelli le più supreme regalie. Egli apertamente nelle sue epistole dichiarò, che la proprietà di questi Reami s'apparteneva alla Sede Appostolica, e perciò, mettendo da parte il testamento di Costanza credette, che independentemente da quello a lui si dovesse il Baliato del picciolo Re, e de' suoi Regni. Ma nel principio, a cagion di Marcovaldo e de' Siciliani, tenne celati questi pensieri, e simulò prenderne la cura come Balio in vigor del testamento di Costanza; per la qual cagione saputa la morte dell'Imperadrice, ed il suo testamento, accettò con allegria la tutela, ed immantenente si pose ad esercitarla, scrivendo all'Arcivescovo di Palermo, ed a quelli di Reggio e di Monreale, ed al Vescovo di Troja famigliari del Re, che egli non tanto colle parole, quanto co' fatti, avea accettato il Baliato a lui lasciato dall'Imperadrice Costanza. Ma i fatti furono tali, che dopo la morte di Costanza si conobbe, che non tam tutelae nomine, come dice il Nauclero, quam sui juris tuendi causa, Siciliam et Apuliam administrabat.

Mandò per tanto Innocenzio per suo Legato in Sicilia Gregorio da Galgano Cardinal di S. Maria in Portico, acciocchè con Riccardo della Pagliata Vescovo di Troja, e Gran Cancelliero di quel Regno, con Caro Arcivescovo di Monreale, e con gli Arcivescovi di Capua e di Palermo, che dall'Imperadrice erano stati lasciati per famigliari del picciolo Re, avesse preso il Governo dell'isola; ed il Cardinale colà giunto prese da' famigliari suddetti il giuramento di fedeltà in nome d'Innocenzio. Ma ciò non molto piacendo al Gran Cancelliero Riccardo, ed agli altri del suo partito, i quali non volevano colà superiore alcuno, vennero tantosto a scoverta nemicizia col Legato, e trattando i proprj comodi, non l'utile del Re, furon cagione, che di là a poco il Cardinal Gregorio facesse ritorno in Roma, avendo prima inviato ordine per tutta la Sicilia e la Puglia, che ciascun riconoscesse il Pontefice per suo Governadore, e Balio del Re fanciullo.

Dall'altra parte Marcovaldo, che, come si disse, era stato da Costanza con tutti i suoi Tedeschi scacciato dal Reame, intesa la di lei morte, ragunò prestamente un numeroso esercito di suoi amici e partigiani, ed altri ch'egli assoldò; ed ajutato da alcuni Baroni regnicoli, e da Guglielmo Capparone, Federico, e Diopoldo Alemano, e da altri Tedeschi, a cui avea donato Errico Stati e Baronaggi in Puglia ed in Sicilia, entrò ostilmente nel Reame, ed in prima assalì il Contado di Molise (ove molte Rocche ancor per lui si guardavano) e senz'alcun contrasto se 'l pose sotto il suo dominio. Inviò poi a richiedere a Roffredo Abate di Monte Cassino, che si fosse con lui congiunto, riconoscendolo per Balio di Federico, secondo ch'era stato, com'egli diceva, lasciato dall'Imperador Errico; ma l'Abate scorgendo l'intendimento di Marcovaldo essere non di custodire, ma di rapire l'eredità del fanciullo, ributtò i suoi messi, nè volle far nulla di quel ch'egli chiese, iscusandosi, che avea già prestata ubbidienza al Pontefice ed accettatolo per Balio del Regno: il perchè sdegnato gli mosse aspra guerra, ed entrato ostilmente nelle terre della Badia in quest'anno 1199, prese in un subito e bruciò molti luoghi della medesima, ed indi venne a campeggiar S. Germano, alla cui difesa era accorso già l'Abate Roffredo. Avea intanto Innocenzio inviato in Terra di Lavoro Giovanni Galloccia romano Cardinal di S. Stefano in Montecelio, e Gerardo Allucingolo da Lucca Cardinal di S. Adriano con seicento soldati condotti da Landone da Montelongo Governador di Campagna di Roma, i quali avuta contezza, che Marcovaldo dovea assalir S. Germano, raccolsero altro buon numero di soldati da Capua, e dalle circonvicine castella per opporsegli; siccome uniti coll'Abate Roffredo, alla difesa di quella Terra furon tutti rivolti. Ma venuto non guari da poi Diopoldo con buon numero di Tedeschi in ajuto di Marcovaldo occupando il monte, che sovrasta alla città, obbligò i difensori ad abbandonar la difesa, ed a ritirarsi dentro il monastero di Monte Cassino; per la qual cosa Marcovaldo entrato nell'abbandonata città, incrudelì fieramente cogli abitatori, e bruciando la terra, e con varj tormenti barbaramente affliggendo gli uomini e le donne, scorse poi per gli altri luoghi di S. Benedetto, e quegli aspramente danneggiati, cinse d'assedio l'istesso monastero di Monte Cassino, ed il vallo, ove s'era fortificato Landone con gli abitatori, tentando a forza di prendergli con assalir le mura e lo trincee; ma invano, perchè fu più volte dall'uno, e dall'altro luogo con molto suo danno valorosamente ributtato da' difensori.

Narra nella sua Cronaca Riccardo da S. Germano autor di veduta, che cangiatosi nel dì di S. Mauro l'aere di chiarissimo ch'era, in torbido e tempestoso, venne in un subito così gran tempesta di pioggia mista di gragnuola e folgori e tuoni spaventevoli, accompagnata da impetuoso vento, che inondando sopra i Tedeschi attendati fra quelle rupi alpestri del monte, e gittando a terra, e rompendo i lor padiglioni, gli costrinse a torsi via frettolosamente dall'assedio; ma Marcovaldo niente perciò deponendo del suo furore, nel discender giù del monte bruciò il Castel di Plumbarola e di S. Elia, e ritornando a S. Germano, vi fè abbatter le mura, le porte, e' migliori casamenti, ch'erano rimasi in piedi, con usar strage grandissima in tutti que' contorni, permettendo a' Tedeschi il sacco anche nelle chiese senza niuna riverenza, e timor di Dio e de' Santi, a cui eran dedicate.

Queste calamità afflissero sì fattamente il Pontefice Innocenzio, che per darvi alcun rimedio, scomunicò prima solennemente Marcovaldo con tutti i suoi seguaci, e scrisse poi agli Arcivescovi di Reggio, Capua, Montereale e Troja, che ragunassero esercito bastante per opporsi a Marcovaldo, ed impedire i mali, che commetteva, descrivendogli in queste sue lettere minutamente. E lo stesso scrisse al Clero, Baroni, Giudici, Cavalieri, ed al Popolo di Capua, dicendo loro di più, che avea inviati suoi Legati con molta moneta a Pietro Conte di Celano, del lignaggio dei Conti di Marsi, a Riccardo Conte di Teano, e ad altri Baroni regnicoli, ch'assembrasser soldati per tal cagione; e che se d'uopo ne fosse stato, avrebbe bandita la Crociata contro di lui, acciocchè tutti coloro, che gli prendean l'armi contro, avessero il general perdono de' lor peccati, come se gissero oltre mare a guerreggiare con Turchi; e lo stesso scrisse a' Vescovi, Abati e Priori di Calabria; ordinando ancora, che ciascheduna domenica ed altri giorni festivi, si maledicessero pubblicamente Marcovaldo, e i suoi seguaci e parimente a' Vescovi, e ad altri Prelati di Sicilia, ed a tutti gli altri Baroni, Conti e Popoli d'amendue i Reami.

Ma non finivano per questo i soldati di Marcovaldo di far continui danni a' luoghi di Monte Cassino, e di porre a saccomanno le chiese, e rubare gli ornamenti degli altari: il perchè l'Abate Roffredo, non parendogli dover più soffrire tante calamità, avendogli offerto una buona somma di moneta, alla fine concordossi con lui, il quale ricevuto denaro uscì dalle sue Terre senza dargli più noja, e n'andò a guerreggiare altrove.

Nell'istesso tempo Riccardo dell'Aquila Conte di Fondi, veggendo di non poter in altra guisa difendere il suo Stato, si concordò co' Tedeschi, non ostante quello, che gli avea in contrario di ciò scritto Innocenzio, dando per moglie una sua figliuola al fratello del Conte Diopoldo nomato Sigisfredo, a cui avea commesso Marcovaldo la guardia di Pontecorvo, S. Angelo e Castelnuovo, luoghi importanti a' confini del Reame. Ma non guari passò, che Diopoldo, mentre discorrea per lo Reame procacciando di accrescer partigiani a Marcovaldo con minor cura della sua persona, che conveniva, fu fatto prigione da Guglielmo S. Severino Conte di Caserta, il quale, così avendogliene scritto Innocenzio, non volle mentre visse, rimetterlo mai in libertà. Nondimeno venuto egli tra poco a morte, il di lui figliuolo nomato anch'esso Guglielmo, concordatosi co' suoi il trasse di prigione prendendo una sua figliuola per moglie: la qual cosa recò gravissimo danno agli affari del Regno per le malvagità, che poscia Diopoldo per lungo tempo commise.

Avea intanto Marcovaldo (secondo che si legge in una Cronaca d'incerto Autore, che si conserva nella libreria del Duomo della città di Fois in Francia, ridotta in istampa, ed unita col registro dell'Epistole d'Innocenzio) tentato di concordarsi col Papa per opera di Corrado Arcivescovo di Magonza, il quale nel ritorno di Terra Santa era capitato in Puglia, promettendo, pur che non l'avesse molestato nella conquista, ch'egli intendeva fare del Regno, ventimila once d'oro, col dovuto giuramento di fedeltà solito a farsi da' Re di Sicilia a' romani Pontefici, significandogli ancora, che non dovea essergli d'impedimento a far ciò l'aver preso sotto la sua protezione Federico; perciocchè gli avrebbe fatto veramente toccar con mani, che quel fanciullo era stato supposto, nè era altramente nato di Costanza e di Errico.

Ma l'accorto Pontefice conoscendo l'ingordigia di regnare, e la malvagità di Marcovaldo, non diede fede alcuna alle sue menzogne; il perchè Marcovaldo senza far più menzione di tal fatto, tentò con altri mezzi pacificarsi con Innocenzio, e d'esser assoluto dalla scomunica. Il Pontefice gl'inviò Ottaviano Cardinal d'Ostia, Guidone di Papa Romano Cardinal di S. Maria in Trastevere, ed Ugolino de' Conti suo Nipote Cardinal di S. Eustachio; acciocchè comandandogli prima in suo nome di ubbidire a tutto quel ch'egli avesse ordinato intorno a' capi, per i quali era stato scomunicato, e fattogli di ciò prestare il dovuto giuramento, l'avesse poscia assoluto dalle censure, ricevendolo in grazia di S. Chiesa; ma quel Tedesco, che avea altro in pensiero, tentò in varie guise di distorre con prieghi e con minaccie i Cardinali di ordinargli tal cosa, adoperandovi per mezzo Lione di Montelongo consobrino del Cardinal d'Ostia, ma invano; perciocchè il Cardinal Ugolino, pubblicamente gli comandò in nome del Pontefice, ch'egli più non molestasse i Regnicoli, nè tentasse intrigarsi nel lor governo, come Balio di Federico: che restituisse tutti i luoghi occupati in Puglia ed in Sicilia, e ricompensasse i danni avvenuti per opra di lui alla Chiesa romana ed all'Abate di Monte Cassino; e che più non travagliasse i Prelati, e l'altre persone ecclesiastiche. Alle quali cose rispose, che non potea far per allora sì fatto giuramento, ma che avrebbe di presenza nelle mani del Pontefice in Roma giurato di osservare il tutto; ed accomiatati onorevolmente i Cardinali, ritornò alle cattività primiere, procacciando per suoi Messi dare a divedere a' Regnicoli, ch'era convenuto col Pontefice, e ch'egli l'avea confermato per Balio del Regno.

Ma pervenuta ad Innocenzio tal novella, chiarì tosto per sue particolari lettere esser ciò bugia, e ritrovamenti di Marcovaldo; laonde veggendo essergli chiusa in Puglia ogni strada di recare il suo proponimento ad effetto, conchiuse di passare in Sicilia, ove giudicava poter più agevolmente, e con minor contrasto adoperare le sue malvagità. Ma prima di ciò fare, assediò Avellino, la qual città non potendo egli prender così presto per la valorosa difesa de' cittadini, pago della molta moneta, che gli diedero per uscir di tal molestia, si tolse via dall'assedio. Prese poscia a forza Vallata, e la diede a sacco a' soldati, e procedendo a far danni maggiori gli venne incontro Pietro Conte di Celano con buon numero di soldati da lui raccolto nel Contado di Marsi, co' quali non volendo Marcovaldo venire a battaglia, tornò nel Contado di Molise, ove per non poter difendere la città d'Isernia, che allora avea in suo potere, tolse tutti i lor beni a' cittadini, e passato sopra Teano per esercitar le sue forze contro quella città, ne fu ributtato. Alla fine per mantener in fede i suoi partigiani in Terra di Lavoro, ed in altri luoghi di Puglia, lasciato Diopoldo, Ottone e Sigisfredo suoi fratelli, Corrado di Marlei Signore di Sorella, Ottone di Laviano, e Federico di Malento, con buona mano di soldati tedeschi, passò a Salerno, che seguiva la sua parte, e quivi imbarcatosi su l'armata apprestata per tal effetto, navigò felicemente in Sicilia.

Significata intanto a' Governadori del Regno di Sicilia la navigazion di Marcovaldo, per reiterati Messi, chiesero soccorso di soldati al Pontefice, e persona di stima per potersegli opporre, il quale spedì a quella volta Cintio Cincio romano Cardinal di S. Lorenzo in Lucina, e Giacopo Consiliario suo consobrino e Maresciallo con 400 cavalli assoldati a sue spese, e con essi Anselmo Arcivescovo di Napoli, ed Angelo Arcivescovo di Taranto, uomini di molto avvedimento, acciocchè si valessero del lor consiglio. Costoro passati in Calabria ne scacciarono Federico tedesco, che quella provincia aspramente travagliava, e poi valicato il Faro ne girono a Messina città fedelissima a Federico, e che in que' tumulti di Marcovaldo seguitò sempre costantemente il suo nome.

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